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sabato 17 settembre 2016

CUORE E SCINTILLE

Nel mese di giugno del 1971 arrivò, per me,  anche l'ultimo giorno delle scuole elementari. 
Avevo terminato il primo ciclo delle scuole primarie con entusiasmo e senza particolari problemi. La licenza elementare mi portò, oltre alla consapevolezza di aver concluso un ciclo tutto sommato divertente, al pensare ad occupare le giornate in modo più proficuo e meno ludico. Insomma cominciavo a sentirmi grande e volevo dimostrare, soprattutto a me stesso questa presa di coscienza nuova che mi bolliva dentro.
Una mattina, dopo che mia mamma lasciò casa per recarsi al lavoro, confidai a mio padre la mia voglia di cercare un lavoro che tenesse occupato le mie giornate e che magari mi aiutasse ad esaudire qualche mio desiderio, primo tra tutti comprare il mio primo  libro. Ma non un libro qualsiasi. Mi erano rimaste impresse nella memoria le bellissime strorie che la maestra Correale ci leggeva ogni tanto da quel libro con la copertina di cartone pressato rosso e con il titolo impresso con i caratteri del color dell'oro. Racconti bellissimi di impegno, dedizione e senso del dovere, rispetto dell’autorità e della famiglia, amore per la patria, di solidarietà e di cuore.
Mio padre approvò la mia decisione ed uscii di casa per andare alla ricerca di un lavoro.
Mi diressi a piedi verso il centro di Marigliano, la mia città, non tralasciai nessuna attività, mi fermai a chiedere in tutte le botteghe e negozi di commercianti ed artigiani, ma non fui fortunato. Tutti guardavano la mia esile corporatura ed abbozzando un sorriso mi dicevano più o meno la stessa cosa  " ma cosa vuoi lavorare alla tua età, vai a divertirti con i tuoi amici e magari torna tra qualche anno". 
Non capivano nulla, non conoscevano nulla di Enrico, Garrone e di Precossi.
Quando ormai il sole cominciò a picchiare duro a filo a piombo sulla testa, stanco sfiduciato e arrivato quasi ai margini del lato opposto della città, vidi un uomo accucciato sotto  un camioncino semi arrugginito che con una specie di pistola in mano, che al posto della canna montava un filo lungo e consistente, con l'altra mano manteneva davanti agli occhi una strana maschera nera senza fessure e con un vetrino nero al centro. Ogni volta che l'uomo toccava con la punta della sua strana pistola il ferro, questo sprigionava migliaia di scintille colorate che andavano dal giallo all'azzurro, dal rosso al verde. Il suo viso veniva totalmente investito dalle faville e dal fumo acre che ne scaturiva, ma grazie al mascherone protettivo nero, la sua faccia ne usciva indenne ogni volta.
Rimasi affascinato ad osservare quello spettacolo, quando ad un tratto un signore mi esortò in modi bruschi a non guardare ed a girarmi dall'altra parte. Ma dall'altra parte non c'era nulla ed io indispettito tornavo ad ammirare quello spettacolo sfavillante.
Mi avvicinai all'uomo con la pistola di fuoco, quando finì il suo lavoro e gli chiesi se mi prendesse a lavorare con lui. 
Mi guardò e mi disse: "Cosa sai fare"?  "Nulla, ma vorrei imparare a fare le scintille," gli risposi.
L'uomo mi diede la mano e mi portò dentro l'officina. Il posto era abbastanza squallido, sporco e pieno di attrezzi e ferraglia sparsa in ogni dove.
"Ti voglio dare fiducia", mi disse, "entro stasera voglio che metti in ordine tutto qua dentro, sei libero di iniziare da dove vuoi". E se ne uscì.
Rimasi da solo dentro quel locale tetro, lurido e trascurato.
Cominciai a raccogliere chiavi inglesi, cacciaviti, martelli, pinze e tenaglie in ogni dove ed a riporli su un vecchio banco da lavoro ormai spoglio. Dopo un paio d'ore cominciai ad avvertire i morsi della fame, ma di mangiare non se ne parlava. Intanto le mie mani avevano acquisito una spessa patina di nero appiccicoso. L'uomo entrò con un'altra persona nell'officina e mi disse di muovermi perchè secondo lui ero troppo lento. Nel frattempo sistemò una barra di ferro in una morsa e cominciò a produrre le solite scintille variopinte. Mi fermai di nuovo a guardare ammirato quello spettacolo. Entrambi continuavano a dirmi di non guardare le scintille e di girarmi dall'altra parte. Ma perchè non dovevo assistere a quello spettacolo?
Giunse la sera tardi, il sole non c'era già più. Ero stanco stremato. l'officina era stata riordinata, dietro il banco facevano bella mostra appesi ed organizzati tutti gli attrezzi.
Il fabbro mi disse di andar via e che mi avrebbe aspettato l'indomani alle otto in punto.
La maglietta ed il pantalone erano praticamente lerci e pieni di unto nero. Arrivai a casa stremato, sporco ed affamato. Anche il contorno degli occhi era diventato nero per i continui sfregamenti delle mani sugli occhi, che nel frattempo cominciavano a farmi male seriamente.
Quella notte non riuscii a dormire continuavo ad avere i bagliori negli occhi e mi sentivo le orbite colme di sabbia. Mi mamma mi fece mettere due fette di patate sopra gli occhi per lenire il dolore.
Ma il mattino arrivò inesorabile. Gli occhi erano gonfi e rossi e la sensazione di sabbia dentro persisteva. Mi recai al lavoro. Tutta la settimana fu sempre la stessa  solfa. Mettere in ordine, pulire, rassettare, non guardare le scintille (finalmente ne capii il motivo).
Arrivò infine il sabato sera. Le mani sempre unte ed il rumore assordante dei colpi di maglio sulla lamiera, non mi fecero innamorare di quel lavoro. Ormai non mi piaceva neppure più guardare il fabbro saldare con le sue miriadi stelline colorate. O meglio non si poteva guardare.
Decisi così quella sera di mettere fine a quella brutta esperienza e ne resi partecipe il capo officina. Mi disse di non preoccuparmi, mi ringraziò e mi diede trecento lire. Praticamente cinquanta lire al giorno.
Ero felice, durante la strada del ritorno, fatta di corsa, mi fermai nella libreria al centro della città. Cercai affannato tra i tanti libri colorati e dalle copertine patinate quello che io volevo.
Non c'era. Chiesi all'edicolante. In mezzo a tanti libri che sembravano abbandonati in un angolo, prese in mano quello che volevo.
"CUORE" di Edmondo De Amicis. Prezzo 230 Lire.
Lo comprai e di corsa tornai a casa, diedi il resto dei soldi a mio padre. Quella sera non cenai neppure , aprii il libro ed andai subito alla ricerca delle storie più belle.
Marigliano, giugno 1971
Nello Ricciardi

1 commento:

Aniello Ricciardi ha detto...

Grazie Umberto. Sei un mio fedelissimo.