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martedì 1 novembre 2022

LA METROPOLITANA DI PARIGI

"Parigi val bene una una messa”, disse Enrico IV, notoriamente di 
religione protestante, che dovette abbracciare, suo malgrado,  il credo cristiano per salire sul trono di Francia. Io, non avendo corone da auspicare, avevo come unica e semplice motivazione, la ricorrenza imminente del compleanno di Rita, che capitava in un momento tranquillo della nostra vita matrimoniale. 
Pensai di farle un bel regalo a sorpresa e fu così che prenotai, a sua insaputa, il volo Ryanair un paio di giorni prima del suo compleanno.
Non fu facile tenere nascosto la meta del viaggio, fino all’ingresso
del gate d’imbarco. Lei continuava a chiedere, io continuavo ad inventare destinazioni. Andiamo a fare un giretto un paio di giorni, continuavo a ripetere. 
La gioia di Rita, quando lesse Parigi nel cartellone luminoso delle partenze, fu palpabile ed incontenibile. Mi toccò incassare un bacio appassionato, mentre eravamo in mezzo alla folla in fila, nei pressi dell’ultimo controllo. Io, notoriamente timido e riservato, dovetti ricorrere alle più sconosciute tecniche di autogestione, per frenare l’aumentata circolazione del sangue diretta sulle gote, rimanendo di conseguenza pallido in volto, senza far trasparire nessuna vergogna. 
Non eravamo mai stati a Parigi, nessuno dei due, ma lo desideravamo tantissimo entrambi. 
Nei giorni precedenti la partenza, studiai accuratamente i percorsi per visitare quanto più possibile. Ahimè i giorni di permanenza erano davvero pochi, quindi mi concentrai a ricordare le linee ed i nomi delle innumerevoli stazioni metro ed i nodi di collegamento e scambi. Davvero innumerevoli e complicato.
Arrivammo a Parigi Beauvais, aeroporto a circa un’ora a nord della grande capitale francese. 
Con la metro, arrivammo quasi vicino a dove  avevo prenotato l’albergo, in Boulevard de la Magenta, in direzione del quartiere Barbes.
Scendemmo alla fermata Barbes-Rochechouart, abbastanza vicino all’albergo. 
Era ormai tardi e stranamente, a questa stazione non scese quasi nessuno.
Non era proprio bella, né nuova, anzi, le banchine mal tenute e abbastanza sporche. 
Quando impegnammo le scale per la discesa in Boulevard del la Chappelle, all’angolo con Boulevard de la Magenta, notai un numeroso e rumoroso gruppo di magrebini, con bottiglie di alcool in mano e con aspetto poco rassicurante. Dovevamo passare proprio in mezzo a loro. Non c’era nessuno dietro di noi, né nelle vicinanze, se non altri gruppi identici. Dissi a Rita di starmi dietro per non impedire i miei movimenti in caso di una non auspicata e forzata colluttazione, contestualmente cercai di non dimostrarle preoccupazione, che invece c’era tutta. 
Rallentai il passo allo scopo di ricordare e ripassare rudimentali mosse di ju-jitsu che avevo praticato in giovane età, durante i corsi di difesa personale. Ma, ahimè, i ricordi erano veramente labili e troppo lontani, inoltre cominciai a sentirmi reattivo come un panda, con il pensiero da leone.  Mi ritrovai con un pugno chiuso e tremante e la mente lucida e razionale. 
Il mio solo scopo era quello di proteggere Rita. 
Aumentai il passo, assumendo un aspetto quasi marziale, cercando di non lasciar trasparire alcun timore. Un profondo respiro mi fece aumentare la gabbia toracica come un toro infuriato che entra nell’arena. Passai in mezzo al gruppo deciso, mi fecero largo. Li guardai negli occhi, qualcuno di loro disse qualcosa, naturalmente non capii e con il capo rifiutai quello che mi offrivano. Saranno stati una quindicina. Il mio pugno non sarebbe bastato nemmeno per il più piccolo di loro. 
Ci ritrovammo oltre, finalmente potei tornare ad una respirazione normale, seppur lievemente affannata. Rita camminava svelta dietro di me, senza aver mai mollato la mia mano. 
Arrivammo finalmente in albergo, dove mi dissero che sarebbe stato meglio scendere a Gare du Nord. Il quartiere e la stazione di Barber era proprio da evitare, in quanto una delle più pericolose di Parigi.
Ci svegliammo il giorno dopo di buon’ora per andare in giro per la città. Il tempo a disposizione era poco e Parigi era enorme.
Visto l’esperienza della sera prima ed invitati dagli agenti ai margini delle stazioni meteo, decidemmo di stare più attenti e non rischiare niente. 
Rita mi chiese di tenere il suo portafoglio ed il telefonino. Non si fidava a tenerlo nel suio zainetto. 
Prendemmo il treno della metro a Gare du nord, le stazioni erano sempre super affollate, ma i treni si susseguivano a pochissimi minuti uno dall’altro. Si scendeva in una stazione nodo, dove si intersecavano più linee. Dovevamo cambiare giusto linea per andare nella direzione voluta. Mentre scendevo le scale mobili, subito prossimo alla banchina, vidi il treno arrivare, esortai Rita ad aumentare il passo per non perdere quel treno. Non volevo toglier nemmeno un minuto alle visite che ci aspettavano. Feci gli ultimi cinque sei scalini di corsa e mi fiondai verso la porta aperta del vagone più vicino. Con un balzo felino, mi ritrovai nella carrozza, sentii subito chiudere le porte dietro di me. Mi girai per guardare Rita. Era fuori dalle porte, con tutte e due le mani attaccate
al vetro e mi guardava disperata. 
Non era riuscita a tenere il mio passo ed era rimasta fuori. Il treno partì, vidi la disperazione nei suoi occhi, feci solo in tempo a farle segno di aspettare lì.
Guardai se ci fossero comandi nelle vicinanze per fermare il treno, non ne trovai. 
Cominciai a pensare a come fare per ritrovarla.
Certo, dovevo scendere alla prima fermata e tornare indietro. Ma poi pensai che lei potesse aver preso il treno dopo. Non aveva il telefono, non aveva i documenti, non conosceva nulla del posto! 
Scesi dal treno, il tempo non passava mai. Era una stazione enorme, un nodo ferroviario intrinseco di più linee, c’erano più binari e non conoscevo per nulla la direzione del ritorno.
Mi fermai vicino ad un cartellone mappa, per cercare di capire, più leggevo e più mi confondevo.
Il tempo passava inesorabile e cominciai a pregare perché Rita rimanesse al  suo posto.
Salii varie scale mobili, correndo sempre e facendomi spazio tra la folla. Tanti rimproveri mi arrivarono addosso, ma non me ne fregava nulla. Attraversai varie gallerie e ridiscesi di nuovo su diverse scale mobili. Mi ritrovai di nuovo su una banchina ad aspettare il treno. 
Sudato fradicio e sempre più preoccupato. Arrivò quasi subito il treno. Non ero sicuro che andasse nella direzione sperata, ma lo anelavo con tutta la mia volontà.
Il treno rallentò la sua corsa, erano passati quasi venticinque minuti dal momento del distacco da lei. Troppi!
Entrammo nella stazione, il mio sguardo iniziò a scandagliare la banchina opposta alla nostra marcia. 
Eccola!!!
Rita era ferma lì, precisamente dove l’avevo lasciata, nella stessa mattonella.
Scesi dal treno, che partì e lasciò che i nostri sguardi si incrociassero. Scale, corridoi e gallerie si alternarono di nuovo davanti alla mia corsa, fino a quando giunsi da lei, trafelato ma felice come non mai. Ci abbracciammo forte, come la prima volta che ci siamo incontrati. Tienimi forte per mano e non lasciarmi mai più, mi disse a monito.
Dai Rita, la Torre Eiffel ci aspetta entrambi!
Nello Ricciardi

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