Erano passati solo sei anni dalla fine della devastante seconda guerra mondiale. Il territorio italiano ne uscì pesantemente provato, a causa del patrimonio edilizio distrutto, per la mancanza di lavoro e di conseguenza per il regolare sostentamento delle famiglie.
Alla fine del 1951, il territorio compreso tra i fiumi Po ed Adige, in provincia di Rovigo subì una grossa alluvione. Nota come alluvione del Polesine.
L’evento disastroso causò circa cento vittime e quasi duecentomila senzatetto, con molte conseguenze sociali ed economiche. Il contraccolpo fu che tanti giovani, sfollati e senza alloggi, si misero in cerca di un nuovo possibile lavoro, da ottenere anche in altri posti lontano dalle proprie residenze.
Iniziò così un grande fenomeno migratorio, d’intere famiglie verso altre regioni d’Italia.
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San Martino di Venezze |
Giuseppe non ci pensò due volte, quando dei suoi amici gli proposero di intraprendere la possibilità di un viaggio in Inghilterra, in cerca di lavoro che potesse dare una svolta alla sua vita.
Negli anni cinquanta la Gran Bretagna si trovò per la prima volta di fronte alla necessità di importare manodopera di basso livello, da impiegare nei lavori che gli inglesi non erano più disponibili a fare, soprattutto nel settore minerario e in alcuni tipi di fabbriche.
Gli inglesi avevano bisogno di ricostruire gran parte delle loro abitazioni, per la maggior parte distrutte durante la guerra, dalle incursioni aeree tedesche.
Vennero trovati accordi con il governo italiano; si trattava di contratti commerciali che non prevedevano nessuna forma di tutela per i lavoratori immigrati.
Addirittura il governo inglese aprì degli uffici di reclutamento in Campania ed in Puglia, dove il bisogno di lavoro era maggiore.
La quasi totalità dei lavoratori italiani fu assunta dalle fabbriche di mattoni Fletton, situate tra Bedford e Peterborough, città site nella regione Est dell’Inghilterra, sulle rive del fiume Nene, a circa centotrenta kilometri da Londra.
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Fornaci di mattoni |
Giuseppe, grazie ai suoi amici, riuscì in breve tempo a ricevere il permesso per lavorare, in qualità di operaio, in una delle tante fabbriche di mattoni. La LB1 Fletton.
Partì con un piccolissimo bagaglio e tanto desiderio di riuscire a dare una svolta alla sua vita. Conosceva solo due amici, che lavoravano in una fabbrica di elettrodomestici, Gina e Bruno. Giuseppe era molto timido ed introverso, di animo buono ed era un grande lavoratore. Aveva solo un problema, non parlava inglese, ma nemmeno l’italiano. Il suo idioma era il veneto, parlato molto stretto.
Non fu per nulla facile affrontare il rigido inverno inglese, ancor più duro del clima freddo ed umido del suo basso Veneto. Dovette abituarsi a dormire e vivere, insieme a centinaia di altri immigrati italiani, in una specie di ostello, ricavato da una caserma abbandonata.
La paga era bassissima, al di sotto di qualsiasi operaio inglese. Ma il suo pensiero primario era quello di lavorare al massimo per aiutare la famiglia rimasta nel Polesine. I gravosi turni di lavoro ed il contatto continuo con la rude e pesante argilla fiaccavano il fisico e scartavetrava le mani.
La maggior parte degli italiani si ritrovò a prestare servizio nella London Brick, altri invece, preferirono lavorare nei campi, soprattutto per la produzione e trasformazione di barbabietole, altri che sapevano lavorare da artigiani, si offrirono come elettricisti, idraulici, imbianchini e muratori.
Quasi tutti i lavoratori italiani, abitavano in alloggi rifugi ed ostelli, messi a disposizione dal governo inglese. Tutti erano in possesso di regolare permesso di lavoro ed in regola con i documenti. Ben presto a Peterborough si formò una comunità di italiani molto numerosa.
Questi si incontravano la sera negli hotpoint di ritrovo sociale, dove avevano l’opportunità di studiare la lingua inglese.
Giuseppe lavorò duro, in quegli anni, riuscì a metter da parte qualche sterlina non dimenticando di inviare una quota fissa per il sostentamento della sua famiglia in Italia.
La London Brick raggiunse la piena produzione di mattoni, superando il record nel 1954/55, pertanto agli italiani venne riconosciuto un ruolo significativo in questo traguardo.
Nel 1956 Giuseppe fece conoscenza e seguente buona amicizia con una coppia di napoletani, che frequentavano il suo hotpoint club. I suoi amici si dispiacevano a vedere questo giovane sempre da solo, senza una compagna, intento esclusivamente al lavoro e lo esortarono a cercare qualcuna che condividesse con lui il suo vivere in quella terra, lontano da casa.
Lui scrollò le spalle, “cosa vuoi che mi interessa, sono qui per lavorare” disse. Ma i suoi amici, tra il serio ed il faceto, gli mostrarono una foto di una loro amica, una giovane e bella ragazza ancora nubile e libera da impegni affettivi, una loro compaesana di Palma Campania, in provincia di Napoli.
Giuseppe buttò uno sguardo alla foto, dapprima molto disinteressato, ma poi quando realizzò bene la figura della persona nella foto chiese striminzite informazioni, ma con molto riguardo.
Quella notte Giuseppe non dormì, aveva l'immagine di quella donna fissa nella testa. Era bella, gli piaceva, ma come poteva fare per conoscerla. Aveva anche un po’ di vergogna a chiedere ad i suoi amici maggiori informazioni. Neanche avrebbe potuto subito partire per andare a conoscerla quanto prima.
Chi gli aveva mostrato la foto, si riteneva la migliore amica di Stella ed aveva una continua corrispondenza con lei. In una di queste missive le parlò di Giuseppe, descrivendone i tratti somatici ed il carattere, buono e cordiale. Stella aveva ventisette anni era l’ultima di quattro figli vivi, una sorella era morta, a causa di un grave incidente, in giovane età, era anche l’ultima rimasta a vivere con i genitori, contribuendo fattivamente all’economia familiare.
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Palma Campania |
Un giorno, in una di quelle lettere trovò anche una foto. Era un bel ragazzo di ventisei anni, con un bel ciuffo di capelli che cascava leggermente sull’occhio sinistro, con lo sguardo fiero e tutto sommato piacevole. La sua cara amica glielo descrisse come se lo avesse davanti a sé. Al termine la lettera si concludeva con una esortazione a pensare la possibilità di poter combinare un incontro, allo scopo di conoscere Giuseppe.
Questa volta toccò a Stella non dormire la notte al pensiero di cosa si potesse fare. Ascoltare la sua amica e accettare la proposta di conoscenza oppure continuare la sua vita solitaria a Palma Campania, che oramai non le piaceva più.
Stella decise così di non tagliarsi il futuro e si ricordò di una sua amica zingara, che per vivere leggeva le carte e le mani, prevedendo il futuro. Si ricordò che in un ultimo incontro avuto con la cartomante, questa presagì che avrebbe presto attraversato il mare, con un giovane uomo. Naturalmente lei non ci aveva dato credito. Però pensandoci, per andare in Inghilterra bisognava attraversare un tratto di mare, il Canale Della Manica, che separa la Gran Bretagna dalla Francia. Cominciò ad immaginare che forse la zingara potesse avere ragione.
Quando Giuseppe ricevette la lettera con l’indirizzo di Stella e la conferma che aveva dato il suo assenso ad incontrarlo volentieri per conoscerlo, non perse tempo.
Riuscì ad avere un permesso premio dalla sua azienda e partì da Peterborough, diretto a Palma Campania.
Fu un viaggio oltremodo lunghissimo, non era mai stato nel meridione italiano. Parlava bene solo inglese e veneto e questo lo preoccupava fortemente.
Arrivò alla stazione di Napoli, ma quando andò all’ufficio informazioni per chiedere come proseguire il viaggio, non si trovò addosso tra le sue cose la lettera con l’indirizzo di Stella.
Fu costretto a passare quella prima notte in stazione, in preda alla disperazione. Non sapeva come fare. Quando ormai stanco e sfiduciato, si stava recando alla biglietteria per comprare il biglietto che lo portasse a Rovigo, dalla sua famiglia, si ricordò il nome del paese di Stella: Palma Campania.
Ritornò all’ufficio informazioni, dove gli spiegarono come arrivare in quel piccolo paesino. Salì su un autobus e vi prese posto. Quando scese a destinazione chiese in un bar se conoscessero la famiglia di Stella, la fortuna lo aiutò, un uomo conosceva la famiglia e lo accompagnò a casa.
Bussò alla porta, fu aperta proprio da Stella che lo salutò porgendogli la mano. Tra i due ci fu un rapido scambio di sguardi indagatori, tremavano entrambi, l’adrenalina era alle stelle, ma capirono subito di piacersi. Il papà di Stella era preoccupato e molto nervoso, in quanto aspettava il giovane il giorno prima, non riuscì a nascondere il suo malumore.
Giuseppe, borbottando, cercò di scusarsi, spiegando i motivi del ritardo, ma i primi colloqui furono molto difficili, Giuseppe è vero che parlava solo veneto, ma la famiglia di Stella parlava solo napoletano.
Finiti tutti gli scomodi convenevoli familiari, durante i quali Giuseppe e Stella non smisero mai di guardarsi, scambiandosi occhiate incuriosite ed indagatrici allo scopo di cercare qualcosa di più da conoscere o da carpire l’una dell’altro. In cuor loro, però, si piacquero fin da subito.
Arrivò presto la sera e Giuseppe chiese ai genitori di andare a fare una passeggiata con Stella. Naturalmente i genitori di Stella accettarono, ma solo se con loro ci fosse andato il fratello maggiore. Il fratello abitava in un paese vicino, era sposato ed aveva anche dei figli, ma mosso anche dalla curiosità di conoscere il ragazzo, accettò di fare la guardia alla coppia.
Fecero una passeggiata al centro del paese, attraendo gli sguardi incuriositi di tutti i conoscenti, il fratello rimaneva qualche metro dietro, per lasciar loro la possibilità di parlarsi allo scopo di conoscersi meglio, ma sempre attento, come da disposizioni paterne, che non si avvicinassero troppo.
Il tempo di gustare un gelato e fecero rientro a casa.
Giuseppe con molta timidezza reclamò l’attenzione di tutta la famiglia. Si avvicinò al papà e gli chiese ufficialmente di poter sposare Stella. Il papà, che se lo aspettava, non ci pensò troppo, accettando subito di donargli la sua ultima figlia. Giuseppe si rivolse a Stella, mise la mano in tasca e tirò fuori una scatoletta. Un anello con brillante accese gli occhi ed oltremodo il cuore della donna.
Lei gli allungò la mano tremante e lasciò che lui posizionasse l’anello.
Purtroppo avendo perso un giorno, per cercare l’indirizzo, Giuseppe spiegò che il giorno dopo doveva partire per Rovigo, prima di tornare al lavoro a Peterborough, dove avrebbe cercato di organizzare e preparare i documenti per un matrimonio da celebrare quanto prima.
Fine prima parte
Nello Ricciardi
........Continua
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