Il
Varignano mi catturò. Dopo le scrupolosissime visite mediche, a cui fui
sottoposto presso l’ospedale militare di La Spezia, ed i tre giorni di
faticosissimi test fisici, fui dichiarato idoneo a provare a frequentare il
corso Incursori della Marina Militare, appunto presso la caserma del Varignano.
Eravamo
in cinquantotto ragazzi, con età media di venti anni, che superammo tutte le
prove previste.
Ci
alloggiarono tutti in uno stanzone enorme, circondato da grigi armadietti
metallici. Al centro dell’enorme camerone vi erano due file da venti letti a
castello, i restanti diciotto trovarono posto in un camerone attiguo,
leggermente più piccolo, diviso da grossi tendoni pesanti blue scuro.
Quest’ultimo
camerone aveva quattro grossi finestroni che affacciavano nel piazzale
principale. Dalle soglie superiori delle finestre partivano in obliquo verso il
sottostante selciato, delle draglie (funi) di acciaio fasciate con della cima
di canapa. Questo era il mezzo per salire nei cameroni dopo le attività. Le
scale, che pure esistevano si potevano utilizzare solo se autorizzati.
Iniziai
a svuotare due enormi zaini contenente tutto il vestiario consegnatoci per
affrontare le varie fasi del corso. Fu un’impresa veramente difficile,
sistemare tutto per bene nell’angusto armadietto assegnato.
La
mia preoccupazione maggiore era rivolta ai pensieri che mi frullavano nella
mente.
Come
potevo affrontare un corso simile della durata di un anno, fatto principalmente
di impegno fisico e sacrificio mentale?
Come
potevo sopportare tutto quello che mi si sarebbe prospettato, fin dal giorno
dopo, considerando la mia proverbiale pinguedine che mi aveva portato a pesare
novantasei chili. Oltretutto avevo saputo, da un maresciallo che conoscevo, i
risultati dei miei test fisici.
Prova
di velocità cento metri: appena sufficiente; prova sui quattrocento metri:
appena sufficiente; prova sui duemila metri: da rivedere; prova di salita alla
fune: superata con riserva; prova di salita alla pertica: cinquanta per cento.
Giudizio
finale: ammesso con riserve.
Non
ce l’avrei mai fatta, ma ormai ero lì e non avevo nulla da perdere. Ogni giorno
era buono per tornarmene a bordo della mia nave.
La
sera, la stanchezza si impadronì del mio corpo e mi immobilizzò nel letto, ma la
notte passò presto, troppo presto.
Alle
cinque e cinquanta, ora della sveglia mattutina, l’allievo di guardia svegliò
tutti. Avevamo solo dieci minuti per lavarci, sistemarci per bene, fare il
letto in modo perfetto ed ordinare tutto nell’armadio. Nulla doveva essere
lasciato fuori in vista.
Alle
sei in punto, inquadrati e coperti, in assemblea nel sottostante piazzale.
Indossavamo la tuta azzurra di cotone e le scarpe alte a suola bassa marca
superga. Scarpe che sarebbero servite per tutte le attività in caserma.
Ci
aspettarono quella prima mattina quattro istruttori più il direttore del corso.
Dopo
alcune raccomandazioni, ci sistemarono in fila indiana, esortandoci al silenzio
monacale ed a seguirli nel percorso mattutino di condizionamento fisico, che
sarebbe durato all'incirca un’ora.
Il
maresciallo più anziano, che gli altri chiamavano “il biondo” cominciò a
correre, in testa alla fila, gli altri si sistemarono lungo tutta la fila a
cercare di far serrare i ranghi ai ritardatari.
Cercai
di stare al passo, ma già dopo cinquecento metri cominciai a sentire il cuore
in gola. Non sarei mai riuscito a tenere quel ritmo. Sembrò quasi che il capo m’avesse
ascoltato, perché cominciò a rallentare, consentendomi così di racimolare un po’
di fiato. Le discese si susseguivano alle salite. Il Varignano, costruito
sull’estremità di una collinetta affacciata sul mare offriva questo tipo di
percorso. Sembrava studiato apposta. Dopo una ventina di minuti, qualcuno
cominciava a rimanere indietro, assistito da uno degli istruttori che chiudeva
la fila. Il mio cuore ormai era arrivato in testa e pulsava nelle tempie. Il
respiro era diventato sonoro ed annaspante. Il cuore mi chiedeva di fermarmi,
ma la ragione prendeva il sopravvento. Non potevo mollare proprio il primo
giorno. Salita, discesa, salita, discesa, “il biondo” non si fermava mai. Le
gambe dure, i muscoli tesi in uno spasmo di dolore, cominciavano a sentire
tutto l’acido lattico prodotto a dismisura.
Arrivammo
nel piazzale, “il biondo” finalmente si fermò. Mi piegai in due e vomitai tutta
la bile possibile.
Una
ventina di allievi arrivarono con qualche minuto in ritardo, accompagnati da
altri due istruttori.
Eravamo
tutti provati dopo quaranta minuti di corsa continua. Con la bocca spalancata
cercavo di reclutare più aria possibile da mandare giù nei polmoni che si
aprivano e chiudevano come mantici.
“Il
biondo” mi si avvicinò e con il tipico accento bresciano mi disse: “Bravo
CICCIOBELLO. Non avrei mai creduto che saresti arrivato fin qui con il gruppo
di testa. Ma se non hai mollato oggi mollerai sicuramente domani!”
Cominciammo
a fare esercizi di defaticamento e di preatletismo, per una ventina di minuti
ancora.
Ma
il maresciallo mi aveva messo un’altra pulce nell’orecchio. Anzi due. Perché credeva
che ce non l’avessi fatta? Perché mi appioppò quel nomignolo, Cicciobello?
Le
risposte le ebbi dopo la doccia, mentre ero davanti allo specchio a farmi la
barba.
Ma
certo, lui facendomi sentire non all’altezza del compito, forse voleva spronarmi a
reagire, ed io così farò, pensai spronandomi mentalmente. Ed il nomignolo? Ma certo, non era riferito alla mia
pinguedine, ciccio, ma alla sola seconda parte del nome, bello!
Mi
sorrisi consapevole allo specchio ed andai felice e sicuro ad affrontare il
resto della giornata.
A
quella giornata succedettero altre trecentotrenta giornate circa. Tutte
faticose e dure quante le altre. Alla fine, da quel camerone, uscimmo solo
dieci sottufficiali e due ufficiali. Avevamo superato il corso. Indossavamo il
Basco Verde da Incursore. Avevo perso la prima parte del mio nomignolo, pesavo
settantadue chili. La seconda rimase per svariati anni ancora.
p.s.
: Da quel giorno, gli operatori incursori del Varignano, mi chiamarono affettuosamente Cicciobello.
Ancora oggi. Ma voi che leggete non vi azzardate a farlo. Solo gli uomini autorizzati ad indossare quel Basco Verde possono chiamarmi così.
5 commenti:
bella storia. respect.
Grande Cicciobello!!
Letto tutto d'un fiato,ma...Cosa è successo nelle trecentotrenta giornate non commentate ?
Bravo Nello, un bellissimo racconto che poi se andiamo a vedere è un po più o meno la storia di tutti noi che abbiamo indossato il Basco Verde, solo che tu con poche parole sei riuscito a farmi tornare indietro di 43 anni bravo bravo bravo.Per quanto riguarda il nomignolo Cicciobello dato dal Biondo, bé te lo sei tolto dopo il corso lasciando solo il Bello ma da quando è arrivata la pensione bisogna nuovamente aggiungere quell'altra parolina ( ma non solo a te ci siamo in parecchi che abbiamo bisogno di aggiungere quella parolina.)
Un abbraccio Giorgio
Ricambio un fortissimo abbraccio.
Nello
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