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lunedì 29 ottobre 2018

A MARONNA RA’ SPERANZA

Avevo una dozzina di anni, quando a San Vito, popoloso quartiere di Marigliano, l’arrivo delle festività Pasquali, suscitava allegria insolita a tutti i ragazzi. 
La domenica delle Palme scandiva con sicurezza l’imminente arrivo di una festività particolarmente attesa da noi tutto l’anno. I padri francescani del convento preparavano i giovani araldini ed il gruppo Gi.Fra, di cui quasi tutti noi facevamo parte, alla solennità della Pasqua. 
Tutti noi eravamo presi freneticamente da tutte quelle attività. C’erano tante cose da fare ed a tutti, divisi per gruppi di età veniva assegnato qualche compito particolare da espletare. A me piaceva molto andare con il frate che portava alle famiglie di San Vito le uova fresche delle galline del convento, in cambio di offerte da fare alla chiesa. Mi piaceva perché si riusciva sempre a recuperare qualche dolciume o qualche liretta di mancia, che non guastava mai, visto quello che stava per avvenire da li a poco.
La domenica delle Palme passava tutto sommato in fretta e si avvicinava la Pasqua con tutte le numerose liturgie e riti previsti. 
Finalmente arrivava la settimana tanto attesa. La Pasqua cadenzava infatti l’avvento della festività che noi ragazzi più amavamo ed aspettavamo, “A Maronna ra’ Speranza".
La comunità francescana di San Vito in Marigliano si preparava a celebrare la Festa della Beata Vergine Maria, venerata con il titolo di Madre della Santa Speranza, con un solenne triduo. Il quadro della Madonna era posto in trono sopra il magnifico altare maggiore del settecento.
Già dal venerdì cominciavamo a tener d’occhio lo slargo davanti alla chiesa, era imminente l’arrivo di bancarelle di dolciumi e giocattoli. Ma soprattutto, per la nostra gioia arrivavano le giostre!
Il vecchio fiat 615 era il più atteso in assoluto. Il proprietario con l’aiuto del figlio cominciava a scaricare le due giostre smontate che aveva sul cassone. Le gabbie e le barche.
"'E gabbie" erano vere e proprie gabbie metalliche. Su un lato la porticina che, una volta dentro, veniva chiusa da una serratura di sicurezza. Le gabbie erano sospese ad una struttura in grado di ruotare a 360 gradi. Nella rotazione le gabbie conservavano l'assetto iniziale perché erano incernierate in testa. La rotazione della gabbia era ottenuta da un dondolio iniziale, sempre più vasto, fino a superare il punto morto superiore. 
"'E barchette" erano due, sospese nella parte alta di una incastellatura metallica. Le sospensioni erano costituite da quattro barre metalliche, due per lato. Le barche, spinte dagli occupanti con moto ondulatorio, oscillavano intorno all'asse di sospensione. C'era pure chi le spingeva oltre i 90 gradi, fino a trovarsi semicapovolte. Un fermo opportuno impediva la rotazione completa.
Per entrambe il freno utilizzato dal proprietario per calmare gli esagitati, era costituito da una “mezzanella”  o tavola da muratore che veniva fatta incastrare sotto la base delle giostre, appositamente  ricoperta da un copertone d’auto. Questo sistema se mantenuto premuto con un piede, riusciva a fermare del tutto l’oscillazione e ne scandiva la durata del divertimento. 
Entrambe le due giostre costava solo poche lire, a volte troppe per alcuni ragazzini. La maggior parte si limitava a guardare l’esibizione degli altri, che riuscivano a salirci e a provocare l’invidia di quelli che se ne stavano giù ad ammirare con il naso all’insù.
Per noi ragazzi più piccoli era difficile riuscire a muovere ed a far oscillare al massimo queste due giostre. Preferivamo aspettare la sera, quando nello spazio antistante al campanile, la musica ad alto volume richiamava l’attenzione di tutti noi ed i sedili ferrati e colorati del calcinculo cominciavano a girare.
Mi piaceva tantissimo sedermi in sospensione da terra e godere del vento tra i capelli, trasportato dalle note del molleggiato Adriano Celentano, probabilmente il cantante preferito del manovratore. Riuscivo a fare sempre pochissimi giri, in quanto le poche lire a disposizione andavano centellinate a dovere. Per la verità c’era un modo per fare un giro gratis, bastava riuscire a prendere un codino di cuoio appeso ad un pallone.
Non ci sono mai riuscito. C’erano tra noi ragazzi, due fuoriclasse dei calcinculo. Suscitavano l’ammirazione di tutti. Supportati anche dalla loro precoce fisicità, rispetto ai pari età, avevano sviluppato una tecnica tale che si appropriavano fin dai primi giri del tanto ambito codino. Nino e Clemente, praticamente riuscivano a stare sul calcinculo tutta la sera e spesso venivano mandati via dal proprietario per lasciare spazio a chi era meno dotato.
Spesso riuscivo a scambiare, con i più grandi, un giro sulla giostra con qualche figurina doppia dei calciatori. Quasi tutti noi, senza mai comprare una bustina, con i vari scambi e giochi riuscivamo a completare, più o meno l’album della Panini.
Tuttavia c’era a chi piaceva poco l’occupazione dello slargo da parte delle bancarelle. Erano gli abituali giocatori di bocce, che comunque riuscivano sempre a fare in modo che si lasciasse uno spazio per giocare qualche partitella nei momenti di meno afflusso di gente.
Vicino alla Madonnina, all’ingresso dello slargo, era solito sostare un signore con i baffoni ed il mezzo toscano tra le labbra, spesso anche spento. 
Stazionava dietro un tavolo rotondo circondato da piccole carte napoletane ferme tra due chiodi  Un’asta di legno fermata al centro girava frullando la punta di plastica morbida, tra i chiodi. Si poteva puntare sulla carta che si prevedeva si fermasse. Mi incuriosiva, ma non più di tanto, non mi piaceva l’idea di perdere quelle poche lire che avevo guadagnato per ben altri scopi. In genere si fermavano i grandi che spesso puntavano e poi bestemmiavano se perdevano.
Quando i giorni di festa stavano per terminare, una capatina alle bancarelle dei giochi la facevamo. Il giocattolo che andavamo tutti a comprare era la palla di pezza con l’elastico. Erano piccole palline grandi quanto le palle da tennis, imbottite di segatura e racchiuse da una stoffa a spicchi colorate.
Lo scopo principale era quello di prenderci letteralmente a pallate. Cominciavano subito le corse e gli inseguimenti, per sferrare la palla ai malcapitati contendenti rincorsi. Non c’erano regole dettate, c’era solo voglia di ridere e divertirsi. Tutti contro tutti. Non durava tantissimo, il filo elastico era maledettamente troppo esile e finiva per spezzarsi subito. Così, mano a mano che si legavano i due capi recisi, diventava sempre più corto, diminuendo la distanza del tiro. Il gioco finiva inesorabilmente quando le cuciture sottoposte a duri impatti, venivano meno, lasciando fuoriuscire la materia prima, la segatura.
La domenica sera la malinconia ci presentava il conto, in quanto le bancarelle cominciavano a chiudere per andar via. Era il momento di chiedere qualche passaggio gratis ai proprietari delle barche e delle gabbie, che spesso, mossi a compassione ci lasciavano salire per farci cullare ancora una volta su e giù, ma  con moderazione, mentre cominciavano a smontare le recinzioni.
Il lunedì, lo slargo San Vito ritornava ad essere sgombro, ma sempre disponibile ad accoglierci, come sempre, per i nostri giochi e gli incontri quotidiani per il sano divertimento. La chiesa di San Vito, rimaneva un punto di riferimento e di aggregazione sicura ed insostituibile. La Madonna della Speranza ci dava appuntamento ad un altro anno. 

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