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mercoledì 17 aprile 2019

L'ORO ROSSO

La raccolta dei pomodori iniziava di buon mattino, con la frescura si rendeva di più e con meno fatica. Bisognava sbrigarsi perché il sole nei campi cominciava a cuocere oltremodo sulla pelle esposta ed aumentare l'evaporazione sotto le vesti trasformandosi in fastidioso sudore.
Iniziava così il periodo dedicato alla conserva del pomodoro. Quell’odore è nell’aria anche ora mentre scrivo, l’odore perfetto per suggestionare i racconti di un tempo, dove l’anima era predominante, il senso dell’amore per la terra onnipresente, e i rapporti di buon vicinato essenziali.
Partivamo per andare a raccogliere il pomodoro “san marzano” presso via del Bosco, nel terreno di “Giuann ‘o brutt”. Partivo insieme a tutta la sua famiglia ed altri vicini della  “cortina di Shanghai”, così era denominato quell'allegro abitato e numericamente  addensato condominio mariglianese. 
Tornavamo a casa a notte inoltrata, stanchi, cotti e soddisfatti, la terra aveva dato il suo oro.
Il mattino seguente, all’alba, una famiglia per volta, in quel cortile eravamo una quindicina di famiglie, si iniziava il procedimento per conservare il prezioso raccolto al fine di recuperarne l'immutato fragrante sapore in tutto l'anno avvenire .
Tutti mettevano a disposizione degli altri la propria attrezzatura. “Caurari" (grosse pentole) di alluminio, passa pomodori con la maniglia, mestoli, fornelli di varie dimensioni, bidoni enormi per la cottura finale, treppiedi in ferro per il fuoco, fornelloni per il gas, ed attrezzi vari.
Qualcuno accendeva il forno condominiale, a quei tempi quasi in tutti i cortili ne esisteva uno. Quello di Shanghai era enorme, probabilmente costruito prima di tutte le case che lo circondavano.
Il cortile si trasformava in una antica e laboriosa fabbrica di conserva. Perfettamente attrezzata e con operai che non avevano nulla da invidiare a quelli specializzati. La titolare della famiglia a cui toccava far la conserva, diventava la direttrice. Da lei partivano gli ordini la suddivisione dei compiti e l’organizzazione del lavoro.
Quintali di pomodori, rossi e maturi, venivano calati nei “caurari” (grosse pentole di alluminio) per essere bolliti. Parte di questi venivano solo lavati per conservarli a crudo, un’altra parte finiva in apposite teglie da passare nel forno, per dar vita ad un altro tipo di prodotto, così da averne disponibile per tutte le esigenze culinarie.
Le ragazze venivano spesso impiegate nel lavaggio delle bottiglie e di tutti i contenitori  in vetro idonei che si riuscisse a recuperare. Nelle bagnarole era tutto un tintinnio di vetro.
Si iniziava così a far girare le macchinette schiaccia pomodori. Partivano le gare tra i macinatori più veloci. Che spettacolo vedere il fiume denso, rosso e profumato della salsa che “squaccquareava” (rumore tipico della caduta della salsa) nel contenitore sottostante.
Le numerose vespe affamate, richiamate dall'odore dolciastro della passata, volavano agguerrite attorno alle mani imbrattate, iniziava una guerra personale contro gli agguerriti e veloci insetti gialloneri, pronti a lasciare il ricordo del doloroso pungiglione sulla pelle del  malcapitato di turno.
Le varietà di prodotti estratti dalla lavorazione della materia prima venivano distribuiti nelle bottiglie multiformi e dai colori variegati.
Il compito di aggiungere all’interno della bottiglia il basilico era la cosa che amavo di più,  il suo profumo mi rimaneva in modo persistente sulle mani, e se capitava che la fogliolina rimanesse incastrata nel becco della bottiglia si utilizzava un’affilata ” mazzarella o sprucculillo” ossia un bastoncino di legno con il quale facevo cadere la foglia verso il basso .
Spesso i ragazzi, al termine di queste operazioni di riempimento, ne approfittavano per riunirsi al centro della “curtina”,  per l'immancabile partitella di pallone, mentre le ragazze rimanevano seriamente affaccendate alle loro mansioni. A dire il vero le partite finivano per essere molteplici. Le imprecazioni delle mamme, volte a farci ritornare al posto di lavoro erano sistematicamente inascoltate.
Al termine di tutte le operazioni di imbottigliamento, si rassettava velocemente  tutta l'attrezzatura , pronta per essere utilizzate il giorno dopo da un'altra famiglia. Nel frattempo iniziavano i preparativi per la bollitura dei contenitori, bottiglie, arbanelle e contenitori vari adeguatamente riempiti e tappati.
Gli uomini raccattavano dai “zuppigni” (soffitti con entrata esterna), capannoni e cantine tutto quello che poteva assomigliare a legna da ardere e che avevano certosinamente conservato durante l’anno. Questo rappresentava il carburante da mettere sotto gli enormi bidoni di spesso metallo,  contenenti l’acqua, dove venivano adagiati ed accuratamente posizionati, da mani esperte, i contenitori con “l’oro rosso”.
Il sole basso dietro le case, si apprestava al tramonto, presentando la sera, il fuoco sotto i bidoni rischiarava nuova e calda luce nel cortile. La gente si sistemava con le proprie seggiole attorno al fuoco ed iniziavano i racconti più o meno drammatici o ilari di fatti e personaggi, talvolta riferiti anche ai presenti. Qualche spiga di mais  andava a coricarsi sulla carbonella lasciata dalle fiamme, per essere poi sgranocchiata per una frugale cena. Qualche fiasco di vino non mancava mai ad accompagnare e rafforzare le esilaranti risate .
Si diventava una sola famiglia.
Poco dopo la mezzanotte, dopo la giusta bollitura, il fuoco diminuiva l’intensità e la luce  delle fiamme sempre più fioca lasciava il posto a qualc he tresiduo di tizzone ardente ed al chiarore della luna.
Il silenzio regnava nella “curtina” fino all’alba di un giorno nuovo. Sotto a chi tocca.
Marigliano, anni 70.

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