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mercoledì 10 aprile 2024

LAUSDOMINI - 1955/1962




Giuseppe e Maddalena, in fuga da San Giovanni a Teduccio, ma più che altro dalla mamma e suocera, arrivarono nella città di Marigliano, ospitati da Violanda e Felice, sorella maggiore e cognato di Maddalena. 
I cognati si offrirono di accogliere presso di loro, per un breve periodo, i due giovani sposi, nel loro piccolo e spoglio bilocale fronte strada, nei pressi della stazione della circumvesuviana. Il bilocale presentava un classico spazio adibito a cucina ed una camera da letto, delimitata da un pannello di legno e tela. Un piccolissimo ed angusto locale bagno, coperto con una lamiera era ubicato all'aperto nel cortile condominiale.
Felice non aveva un lavoro fisso e sbarcava il lunario, arrangiandosi con insufficienti lavori giornalieri a chiamata, non disdegnando spesso, di adattarsi a fare lo "sciuscia", aiutando il fratello minore nel nobile lavoro di lustrascarpe, al centro di Marigliano. Tuttavia dove riusciva a trovare qualche lira in più per  far quadrare il misero bilancio giornaliero per mantenere la famiglia, era presso un'osteria in via Giannone. In quel posto, sempre saturo di fumo, gli avventori si ritrovavano per bere il classico bicchiere di vino, ma soprattutto per sedersi attorno ad un tavolo verde, per giocare a carte. 
Felice era bravissimo nel gioco della zecchinetta, un antico passatempo introdotto in Italia dai lanzichenecchi. Un gioco ritenuto d'azzardo e proibito da praticare con i soldi. Logicamente e purtroppo per lui e famiglia, seppur fosse molto bravo nel gioco, non tutti i giorni risultavano fortunati e quindi spesso non si riusciva a mettere insieme il pranzo con la cena. 
La vita non riservò loro grandi fortune e benessere, altresì, li aveva dotati di una grande generosità commisurata al loro cuore enorme. Dal loro matrimonio non arrivarono figli, ma nonostante gli stenti, desideravano averli. Non si tirarono indietro e non ci pensarono due volte, quando capitò loro l'occasione, ad accogliere nella famiglia un "figlio della guerra", per salvarlo dall'abbandono, il suo nome era Carlo, ma per loro diventò Giovanni. Una loro conoscente, infatti, aveva partorito questo figlio, nel 1941, mentre il marito era in guerra, ma con il rientro del marito non avrebbe potuto nasconderlo, né avrebbe potuto mantenerlo, aveva già un elevato numero di figli, così Felice e Violanda, si offrirono per dare un tetto e qualcosa da mangiare a questo bambino accudendolo come genitori. Giovanni, quando arrivarono in casa i due giovani sposi, aveva ormai quattordici anni,  cresceva forte, sveglio e sano e fin dalla tenera età si diede da fare nel lavoro, toccò così a lui ben presto mantenere i due genitori adottivi. Nel frattempo, non si tirarono indietro, ed ancora una volta, nel 1954, accolsero con loro un'altra bambina, Nicolina, anch'essa nata da un rapporto infedele e che sarebbe stata abbandonata dalla mamma biologica. Nicolina aveva appena un anno, quando arrivarono in casa gli zii,  riempiendo momentaneamente gli ultimi spazi del già piccolo bilocale. Erano veramente troppi in quella residenza, quattro adulti, un adolescente ed una bambina in quella modestissima abitazione.
Felice si diede subito da fare per trovare una sistemazione idonea per i giovani cognati, che non conoscevano il nuovo paese.  Passarono giusto un paio di mesi e spinto anche dal bisogno di liberare spazi al più presto,  grazie a qualche amico, trovò un alloggio libero per Giuseppe e Maddalena.
Si fecero prestare un piccolo carretto di legno a due ruote, da spingere a braccia, lo caricarono con la pochissima mercanzia che avevano, quasi tutto contenuto in un baule di legno stile liberty  ed una grossa valigia di cartone pressato, inoltre un paio di sacchi contenenti qualche pentola d'alluminio ed altre pochissime stoviglie. L'unico oggetto di modesto valore, di cui Giuseppe non si sarebbe mai separato era una radio a valvole ad onde medie e corte marca Magnadyne modello S175 del 1951. La radio era contenuta ed assemblata in un elegante mobile di legno impiallacciato noce, di medie dimensioni. Giuseppe amava la sua radio, amava ascoltare la musica e le notizie, ma in particolar modo gli incontri di calcio, sopratutto quelli della sua squadra del cuore, il Napoli. L'aveva comprata usata, dopo che era diventato ipovedente, condizione sfortunata che lo portò a isolarsi in casa escludendosi per un lungo periodo dalla società. Con la rata della sua prima pensione di invalidità, volle comprare quello strumento che, a suo dire, lo teneva collegato alla realtà.
Arrivarono con non poca fatica in fondo a Corso Campano, sempre nel comune di Marigliano, nella frazione di Lausdomini.
In quel posto c'era quella che per loro fu la prima abitazione in assoluto, da quando erano sposati, dove poterono finalmente prendere la residenza di famiglia. 
L'ingresso era situato nella strada principale al piano terra, era formata da un monolocale ammobiliato con un vecchio letto interamente in metallo, un comò a tre cassettoni, con evidenti segni di tarlatura, un tavolo di legno per sei persone contornato da quattro sedie di paglia sdrucite e scompagnate. Di fronte all'ingresso principale c'era una porticina a vetri, che usciva nel cortile condominiale ubicato all'interno di un tipico palazzo di campagna di fine ottocento, dove al centro era ubicato il piccolo gabinetto con tetto in lamiera, addossato ad un grande forno a legna ed un pozzo artesiano per attingere l'acqua, tutto ad uso comune degli abitanti che si affacciavano nel cortile.
Questa misera abitazione era il massimo che potevano permettersi in quel momento. Si sistemarono facilmente e velocemente in casa, vista la scarsità delle vettovaglie ed altrettanto velocemente fecero amicizia con i vicini. Quasi tutti contadini e manovali, abituati al duro lavoro nei campi ed all'utilizzo delle pietre e mattoni. Proprio nel cortile dove abitavano, si affacciava uno dei proprietari, Raffaele, che gestiva insieme alla moglie, un piccolo negozio di alimentari e generi di granaglie per piccoli animali da fattoria. I due giovani iniziarono una bella amicizia con i nuovi vicini, Giuseppe scoprì presto che Raffaele aveva la sua stessa invalidità, anche se più aggravata, essendo cieco totale. Tuttavia Raffaele riusciva a muoversi nella sua bottega ed a servire i clienti meglio di quanto facesse la moglie, utilizzando i pesetti in ottone, per bilanciare la bascula in modo impeccabile, senza sbagliare di un grammo.
Grazie sempre ai vicini, mossi a compassione per la giovane e sfortunata coppia, Maddalena iniziò a lavorare come bracciante agricola trascorrendo delle giornate di duro lavoro in campagna, iniziando presto la mattina e tornando a casa stanca al calar del sole.
Giuseppe, invece, in qualità di non vedente partecipò a dei corsi per rilegatore di libri. Ma pur impegnandosi, non ricevette mai nessuna offerta di lavoro. Passava le sue giornate in casa ad aspettare la moglie, ascoltando musica oppure andava nel negozio di Raffaele a cercare di dare una mano, aiutandolo quando aveva bisogno, a trasportare qualche sacco di farina o di cereali.
Quando cominciarono a vivere abbastanza bene, senza più stenti ed a mangiare qualcosa di diverso dal solito ed a mettere da parte anche qualche liretta, Maddalena si accorse di essere incinta.  Purtroppo il suo lavoro era veramente molto faticoso, soprattutto per una donna incinta, ma non poteva permettersi di stare a casa, voleva dire perdere le provvigioni e quindi non guadagnare nulla. Fortunatamente Giuseppe aveva consolidato il suo, seppur piccolo, assegno fisso di pensione per la sua malattia cronica, che era una entrata sicura nel bilancio familiare.
Maddalena non volle perdere una giornata di lavoro, andava in campagna con un pancione enorme e tutti i vicini la riprendevano, consigliandole vivamente di stare a casa. Ma non volle mollare se non ad una decina di giorni dal parto.  A fine marzo del '57, nacque un bellissimo e sano marmocchio dagli occhi dolci, aveva già la riga a sinistra nei lunghi capelli neri. Gli venne dato il nome Giacomo, come il nonno materno. Allora si usava dare ai nascituri il nome dei nonni, dando la priorità ai nonni paterni (il famoso patriarcato), ma Giuseppe non potette dare quello di suo padre in quanto anche lui si chiamava Giuseppe ed all'anagrafe non lo accettarono. Questa indecisione sul nome portò ad un ritardo nella trascrizione alla casa comunale del neonato, rendendolo più giovane di tre giorni, pertanto  fu dichiarato solo il primo aprile. 
Maddalena fu così costretta a fermarsi dal lavoro, doveva badare ed allattare il piccolo tanto atteso e voluto. Passarono i mesi e purtroppo, quel poco risparmiato cominciò a finire. Cominciarono di nuovo i sacrifici e gli stenti. Maddalena iniziò di nuovo a lavorare quando il piccolo aveva circa dieci mesi, le ragazzine che abitavano nel vicinato facevano a gara a chi teneva il piccolo Giacomo, lasciandola così libera per dedicare ore al lavoro in campagna.
Maddalena era stremata, dal mancato recupero fisico, ma la sua scorza dura di montanara, l'aiutò ad affrontare di nuovo il lavoro con nuova lena.
Quando riuscì a rimettere in sesto il suo fisico e ad impegnarsi nuovamente, si accorse di aspettare un altro bambino.
Questa volta, suo malgrado, dovette assentarsi dal lavoro molto prima. Raffaele, la moglie ed altri vicini li aiutarono molto in questo periodo difficile.
Ad ottobre del '58, aiutata dall'immancabile ostetrica tuttofare di Marigliano, venne al mondo Anna. Chioma fluente e nera, lineamenti paffuti, morbidi ed olivastri, buona come solo il pane sa esserlo. La classica bambolina da tenere sul comò, vestita di tulle bianco e le scarpette nere. Questa volta Giuseppe, soddisfatto, potè dare il nome di sua mamma alla sua seconda figlia.
Appena si rimise dal secondo parto, aiutata sempre dalle gentilissime ragazzine del vicinato, che si offrivano nel lavoro di baby sitter, Maddalena ritornò a lavorare.
La vita iniziò un tantino a sorridere, i bambini crescevano bene ed erano la gioia di tutti i vicini del cortile, la posizione economica non era quella delle migliori, ma si riusciva a vivere tranquillamente.
Questa condizione non durò a lungo. Purtroppo la televisione non arrivò ancora a casa della giovane famiglia, gli inverni erano lunghi e freddi, fu così che arrivò la notizia di un'altra gravidanza.
I troppi giorni di mancato lavoro iniziarono a pesare in modo molto concreto. Ormai tiravano avanti con la sola misera pensione di Giuseppe. 
Arrivò con il solleone, in piena estate, con le idi di Luglio del 1960 il terzo bambino, spalle larghe, corpicino allungato e scheletrico, gli occhi tendenti al verde che rimanevano quasi sempre chiusi e strizzati, spiccavano su tutto le grosse orecchie  a sventola. Lo chiamarono Aniello, il nome del primo fratello di Giuseppe, ma fin da subito fu appellato Nello.

Marigliano 1960
Nello Ricciardi





4 commenti:

Giacomo Ricciardi ha detto...

Tu sei nato dopo di me ma non so come fai a sapere certi particolari su di me e su tante cose che indichi....lo so che sono racconti di mamma e papà evtu sei bravissimo a metterli insieme. Bravissimi come ogni tuo scritto

Aniello Ricciardi ha detto...

Fin da piccolo giravo con un block notes ed un lapis in tasca.🤪

Lorenzo 575 ha detto...

Caro Nello ,il tuo scritto come sempre mi coinvolge e vedo un film, i tuoi racconti mi fanno vedere la storia dal vivo. Se a scuola mi avessero dato spiegazioni come fai tu, forse non avrei lasciato gli studi. Sei coinvolgente.
Continua così ,sei grande.
Lorenzo

Aniello Ricciardi ha detto...

Grazie Lorenzo, sei proprio un buon amico.😉