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giovedì 14 marzo 2024

LA FORZA DEL DESTINO

LA SISTEMAZIONE DEI LIGURI-APUANI NEL SANNIO

I quarantamila Liguri, chiamati Bebiani o Corneliani, rispettivamente con i nomi dei consoli che li sconfissero e li deportarono nei nuovi territori a loro assegnati dal Senato di Roma, vennero deportati nelle aree libere del circondario che i romani avevano tolto ai Sanniti, da precedenti guerre. Un territorio montuoso, aspro e lontano dal mare.

Il primo luogo dove furono sistemati si trovava nella alta valle del Fiume Tammaro. Il primo villaggio costruito, probabilmente prese il nome di Bebio, che sarebbe dovuta diventare la loro capitale.

Un numero consistente di deportati rimase in quelle zone, dividendosi naturalmente più o meno in base alle tribù di appartenenza e di provenienza.

Ma altri, non abituati a rimanere in confini imposti ed a vivere in numerose comunità, cercarono con le proprie famiglie, terre libere da occupare e sfruttare, spingendosi verso il sud, discendendo la naturale valle del fiume Tammaro, fino ad arrivare nei pressi di Beneventum (odierna Benevento, capoluogo del Sannio) e quindi fino ad occupare alcuni territori dell’Irpinia. 

L'ARRIVO DEL SECONDO GRUPPO DEI SETTEMILA

Il secondo gruppo, in numero di circa settemila Liguri-Apuani, arrivò via mare circa un anno dopo, si presume che venne portato in un’area situata a sud di Beneventum, distribuendosi poi verso nord.  In questo gruppo c’era anche il capo Sengauno Gruza, con la sua compagna Garana e l’ultimo figlio rimasto Igiul. 

Gruza, con il suo clan si fermò non lontano da Beneventum, nei pressi della Via Appia. Scelse di costruire la sua prima dimora in una piccola pianura dominata e semi circondata da un promontorio poco più alto di un centinaio di metri del suo pianoro.

Quasi tutti quelli che erano appartenuti alla sua tribù, si fermarono con lui, facendo nascere un piccolo nucleo abitato. Tuttavia, lui ed i suoi uomini mantenevano l’istinto guerriero e proprio non riuscivano a non maneggiare le armi, così, una volta sistemate le famiglie, non avendo nemici da combattere in loco, si arruolarono in gran numero nell’esercito romano, per andare a combattere la terza guerra punica, con la speranza di essere ripagati in assegnazione di benefici e terre da coltivare.

Durante gli anni di assenza dei loro compagni guerrieri, le donne con i bambini si dedicarono chi al lavoro della terra e chi alla pastorizia ed allevamento di bestiame. In particolare Igiul, insieme alla mamma, in poco tempo misero insieme un certo numero di capi di armento. Igiul fin dalla tenera età imparò anche a macellare i suoi capi di bestiame, instaurando un proficuo commercio con le famiglie sannite e romane che condividevano con loro quel territorio.

Quando ritornarono dalla guerra, gli uomini apuani, trovarono la maggior parte delle famiglie ormai adattate alla vita in quel nuovo territorio, anche loro finirono per accettare quello stile di vita e col tempo finirono con il perdere la loro indole guerriera, iniziando a costruire piccoli villaggi di vita comune. 

LA TABULA ALIMENTARIA DI TRAIANO

I “Ligures”, così erano chiamati dai romani, stanziati nelle terre sannitiche, erano così poveri che l’imperatore Traiano, nel 101 d.C., istituì una fondazione alimentare per sostentare le famiglie con bambini: ogni villaggio avrebbe ricevuto un fondo da distribuire ai bisognosi. Tutto il regolamento, con il nome dei beneficiari, fu scritto su una sola lastra di bronzo, di m 1.20 per 1.70. 

Questa lastra, “Tabula Alimentaria di Traiano” fu trovata per caso, alla fine dell’ottocento, nel giardino di un privato a Macchia di Circello (probabile antica Bebio), nell’alto Sannio. La preziosa tavola è conservata presso il Museo nazionale di Roma.

I territori al nord, dei Liguri-Apuani rimasti nel frattempo vuoti, furono occupati da nuovi coloni, provenienti dall’esercito romano, soprattutto mercenari e collaboranti, pronti a formare famiglie ed a dedicarsi al lavoro dei campi ed alla manutenzione del territorio, di conseguenza a pagare nuove tasse all’Impero Romano. La nascente Lunigiana. Questi nuovi abitanti, ormai non più votati alla guerra, si integrarono presto con i pochi liguri-apuani superstiti locali, ripopolando le pianure e le montagne. Pertanto, in Lunigiana e nel Sannio, nuove popolazioni si adattarono e prosperarono per circa due millenni. 

LE BATTERIE MILITARI DEL CAPRIONE

All’inizio del 1900, nella località di Punta Bianca, presso Ameglia, fu costruita la batteria anti nave Dante De Lutti, armata con due cannoni di grosso calibro 152/45 ed un pezzo illuminante da 120/40. Invece a Montemarcello fu completata la Batteria Chiodo, armata con quattro obici da 280mm..  Nel territorio circostante le due batterie c’erano delle piazzole con armi antiaereo a difesa dei grossi pezzi antinave. Nell’area dell’attuale parcheggio a Montemarcello, vennero costruiti, dal genio militare, dei manufatti adibiti a caserme, per alloggio del personale militare, refettori e cucine per la logistica.

Il personale impiegato nelle rispettive batterie, apparteneva alla Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale nella specialità di Artiglieria Marittima, che utilizzava ed addestrava il proprio personale all’utilizzo delle batterie per la difesa costiera del territorio italiano. Questi militari volontari, chiamati camice nere per l’indumento che indossavano come divisa, erano alle dipendenze della Regia Marina. 

A Montemarcello fino a poco prima dell’inizio della seconda guerra mondiale, la Batteria Chiodo fu utilizzata come scuola di artiglieria. Nel 1940 la MVSN diventò MILMART, (Milizia di artiglieria marittima). 

A SAN MARTINO SANNITA NASCE LUIGI LEGGIERO

Nel 1917 a San Giacomo, frazione di San Martino Sannita, in provincia di Benevento, venne alla luce Luigi Leggiero. Ultimo di sette figli, due femmine e cinque maschi. La famiglia Leggiero si occupava da intere generazioni di macellazione e commercio di carne per alimentazione. Il territorio di San Giacomo, pur appartenendo ad altro comune, era parte integrante del più grande comune San Giorgio del Sannio, attraversato a metà dalla importantissima strada di grande comunicazione, l’antica Via Appia ed a circa dieci chilometri da Benevento. Qualcuno del posto, afferma che a circa tre chilometri da San Martino Sannita, si trova una piccola zona chiamata Garfagnana, situata più precisamente vicino alla frazione di Cucciano, dove è stato trovato un "Vico" d’epoca romana.

La posizione era strategicamente ottima per svolgere tutte le attività commerciali e soprattutto per quelle alimentari. Quando Gino, così veniva chiamato amorevolmente, l’ultimo rampollo della famiglia di macellai, arrivò a finire la scuola dell’obbligo, non ne volle proprio sapere di continuare gli studi e protetto dal fatto che fosse il più piccolo, riuscì anche a stare lontano dai compiti essenziali nell’aiutare la famiglia con il lavoro. Insomma gli piaceva la bella vita e si trastullava nel dolce far niente. 

Per la verità aveva scoperto, per caso, un’attività che gli piacque subito a prima vista. Quel gruppo di ragazzi, tutti sporchi di fango che correvano dietro, fino a contenderla, una palla ovale, lo fece innamorare. Non perse tempo e si buttò nella mischia, di nome e di fatto.

Purtroppo, però quel tipo di sport, il rugby, non era ancora catalogato in nessun campionato o federazione, almeno nel Sannio. Ma a loro non importava. Continuavano a giocare ed a correre nei campi improvvisati e rubati alle colture, sempre pieni di fango e di insidie. Poche regole e tanto rispetto, nonostante le botte ed i colpi presi in campo. Ma questa attività non poté durare a lungo, Gino riceveva giornalmente continui richiami all’ordine, imposti dai genitori, che lo invitavano ad una più partecipata vita familiare.

GINO PARTE PER IL SERVIZIO DI LEVA

Fu così che, arrivato alla soglia dei vent’anni, pur potendo usufruire del congedo illimitato, in quanto quinto figlio maschio, decise di non avvalersi di questa opportunità e scelse di rispondere alla chiamata per il servizio militare di leva. Nel 1937 fu chiamato a svolgere il servizio nelle file del C.R.E.M. (Corpo Regi Equipaggi Marina) ed inviato a far servizio presso il “Battaglione Artiglieria Costiera del Golfo Della Spezia” e quindi assegnato alla Batteria Dante De Lutti a Punta Bianca sita nel comune di Ameglia (SP). 

Luigi non aveva mai sentito né conosceva la provincia spezzina, tuttavia, pur lontano dal suo Sannio, era felice di venire il Liguria, non conoscendone i motivi. Aveva il dovere di servire la Patria per ventotto mesi, con il servizio obbligatorio di leva. Il posto gli piaceva, direttamente sul mare, le giornate passavano tranquille e la franchigia (permesso di libertà dal servizio, concesso ai militari dal proprio comando) la trascorreva nel piccolo borgo, non molto lontano, di Montemarcello. In questa piccola località sul promontorio del Caprione, si conoscevano tutti e Luigi ed i suoi commilitoni finirono di farsi accettare subito e bonariamente da tutti gli abitanti del paese.  Molti di loro fecero abbastanza facilmente amicizia con la popolazione ed in particolare, qualcuno di loro si fidanzò e si sposò, portando poi via le mogli nei loro posti di provenienza.

Dopo due anni di permanenza presso la batteria De Lutti, quando ormai era vicino il momento del congedo, l’Italia entrò in guerra e quindi tutti i militari furono trattenuti in servizio, sine die (senza conoscere la data del congedo).

Con lo scoppio della guerra, entrambe le batterie vennero modernizzate e potenziate. I marinai ed il personale della MILMART cominciarono a fare sul serio ed i tempi di franchigia vennero ridotti drasticamente. 

GINO CONOSCE LEDA

Spesso Gino, ormai così lo conoscevano anche i suoi camerati e gli amici del paese, veniva inviato, a prestare servizio giornaliero, presso la Batteria Chiodo, dove dava una mano nelle cucine, visto la sua capacità nel manipolare la carne da macello. Questo lo portò ad essere più vicino alle frequentazioni con la gente del paese. Fu proprio questa l’occasione in cui fece la conoscenza di una ragazza di un anno più grande di lui. La vedeva spesso seduta sulla porta di casa a ricamare o a cucire e da buon marinaio, non aveva disdegnato alla classica battutina di approccio. Gino era un bel ragazzo e sfoggiava un fisico atletico e Leda non rimase a lungo impassibile alle sue rimostranze. Decise così di frequentarlo per qualche pomeriggio in cui lui risultasse libero. 

Leda viveva in casa con la mamma ed il fratello. Il padre, Abramo Domenichini, lo aveva perso durante la prima guerra mondiale, non fece mai più ritorno a casa, probabilmente morto in Francia. La mamma sposò in seconde nozze Elia, il fratello di Abramo, ed ebbe con lui un secondo figlio, appunto il fratello che viveva con lei e la mamma. Ma anche il secondo marito la lasciò presto, venne affondato mentre era imbarcato su una nave della Regia Marina, nonostante si fosse salvato, la disgrazia lo segnò profondamente, non ritornò più sano di mente. Venne ricoverato presso un centro di salute mentale per quasi tutta la vita.

Gino ebbe amore e pietà allo stesso tempo, per questa donna e se ne innamorò fin da subito. Luigi Leggiero e Leda Domenichini, si sposarono nel 1942, in piena seconda guerra mondiale.

Un anno dopo arrivò nella neo famiglia costituita il primo figlio, Francesco Abramo (meglio conosciuto come Franco). 

Nello stesso anno l’otto settembre Badoglio firmò l’armistizio per l’Italia. La maggior parte dei soldati italiani rimasero sbandati alla notizia, non sapendo più da chi ricevere ordini. Le due Batterie vennero assunte ed utilizzate dai soldati tedeschi che le fortificarono, per proteggere la nascente linea Gotica nell’alta Toscana, che aveva l’intento di fermare o comunque rallentare l’avanzata dei nuovi alleati italiani. Tuttavia i tedeschi, ormai in gran numero a Montemarcello, non furono mai violenti nei confronti della popolazione montemarcellese. Anzi, non disdegnavano, nel tempo libero di frequentare l’osteria e spesso venivano accompagnati la sera, molto allegri e  barcollanti in caserma.

Le Batterie e tutte le contraeree attorno a guardia dei cannoni, davano molto fastidio alle truppe alleate che cercavano di sfondare la linea gotica. Gli americani e gli inglesi cercarono in tutti i modi di bombardare, per rendere inutilizzabili, le due grandi postazioni, ma con scarsi risultati.

IL TRISTE GIORNO DI MONTEMARCELLO 13/12/1944

Si arrivò cosi ad un triste giorno per il paese e la sua popolazione.  Il 13 dicembre 1944, alcuni bombardieri, nell’intento di colpire la Batteria Chiodo e la De Lutti, sganciarono una bomba che cadde proprio al centro del borgo di Montemarcello. Il centro del paese fu distrutto, la popolazione tutta si mise a scavare per trovare eventuali superstiti. Alla fine contarono 47 morti civili. Nei giorni che seguirono il tragico evento, i paesani si rifugiarono verso i monti di Zanego e Tellaro. Occuparono tutti i rifugi possibili, quasi tutte casette di campagna, per lo più ruderi. Era dicembre e soffrirono tanto freddo e fame. Luigi, Leda ed il piccolo Franco ripararono a Tellaro presso parenti.

Ma anche questa fase tristissima della vita passò, lasciando un ricordo incancellabile nella mente. Ad aprile del quarantacinque la linea Gotica fu sfondata da parte degli alleati. I tedeschi si misero in fuga verso nord, non prima di lasciare distruzione dietro di loro. Ad essere demolite furono tutte le strutture delle caserme a Montemarcello, non rimase più nulla, solo masse di detriti.

Il ritorno alla normalità portò sacrifici e povertà da parte di tutti. Per fortuna Luigi venne assunto nelle maestranze dell’Arsenale della Spezia e la vita riprese con più fiducia.  Nel 1957, quando Franco aveva quattordici anni arrivò in famiglia anche una sorellina, Donatella.

Gino ha sempre partecipato attivamente alle attività del paese mettendo a disposizione il suo buon umore, la simpatia e la sua gentilezza innata e profondendo il suo amore per questo territorio. Se non fosse stato per la sua inflessione dialettale tipicamente campana, non sembrava per niente, caratterialmente, diverso dai Montemarcellesi. 

LA FORZA DEL DESTINO

Leda Domenichini se ne andò da questo mondo nel 1985. Gino rimase da solo in casa, con i due figli ed i quattro nipoti a coccolarlo. Luigi (Gino) Leggiero se ne andò dal Caprione, dal suo Sannio e da questo mondo nel 1994.

Poco tempo dopo, si racconta che in una calda giornata di primavera, in una delle tipiche formazioni della Caligo che aveva come al solito abbracciato il Caprione dal mare, alcuni abitanti del paese, che si trovavano nei pressi del cimitero di Montemarcello, videro danzare ad altezza d’uomo, due fiammelle libere, a similitudine di “fuochi fauti” (Secondo il folclore popolare, i fuochi fatui rappresentano le anime dei morti, che vagano fino a quando arriva il momento di essere liberati per l’aldilà). Le due fiammelle sparirono dalla loro vista quasi danzando, procedendo in direzione Bavognano. Nello stesso momento, un contadino giurò di aver visto tre di queste fiammelle, proprio nella località di Bavognano.  Anche queste tre fiammelle si allontanarono fluttuando andando in direzione sud. Nella stessa giornata, alla stessa ora, altre persone che si trovavano sul belvedere di Punta Corvo ad assistere dall’alto la densa Caligo, osservarono quattro fiammelle uguali, danzare nei pressi della Punta del Crò. Le quattro fiammelle, prima che la Caligo sparisse, sprofondarono giù verso il mare, infilandosi dentro di essa. Le videro poi, immediatamente uscire dalla grande foschia densa e bianca, velocemente dirette verso il cielo sereno oltremodo, dove scomparvero per sempre.

Una ricerca recente, ha confrontato il DNA di alcuni abitanti della Lunigiana e dell’area Apuana, confrontandolo con le popolazioni del Sannio. La ricerca ha messo in evidenza delle affinità sui geni del cromosoma “Y”.  Gli individui liguri hanno un marcatore che non esiste nel sud Italia, ma che ha un picco molto alto nelle zone dove furono deportati i Liguri-Apuani.

Il destino, purtroppo,  non lo si trova scritto da nessuna parte.

Montemarcello, marzo 2024

Nello Ricciardi

PRIMA PARTE:

https://nelloricciardi.blogspot.com/2024/02/i-sengauni-antico-popolo-ligure-apuano.html

SECONDA PARTE:

https://nelloricciardi.blogspot.com/2024/03/montemarcello.html








1 commento:

Giacomo Ricciardi ha detto...

Come sempre ciò che scrivi ti prende....anche se l'ultimo capitolo è un po troppo storico...però hai incastonato sapientemente i fatti che poi riportano alla famiglia Dimenichini della quale anche tu sei un membro. Sei veramente bravo nel descrivere tutto...e ti rinnovo l'invito a scrivere un libro