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LE ORIGINI - PARENTI E FAMILIARI
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LE ORIGINI - PARENTI E FAMILIARI
Non aveva una vera sede la sua Simone Latino Academy, tutti gli spazi che si rendevano liberi e disponibile ad accoglierlo, con il suo seguito, diventavano, anche per una sera la sala da ballo e palestra di turno.
L’evento infausto, accompagnato anche dalla terribile epidemia passata, portatrice del temuto Covid, ci allontanò dal ballo e dal divertimento.
Diventammo di nuovo dei perfetti amanti del divano e noti conoscitori dei programmi televisivi della serata. Insomma la noia, alleata gli anni che si accumulavano addosso, si stava impossessando della mia voglia, ormai repressa, del divertimento.
Fu così che con Rita decidemmo di mettere alle spalle la tristezza e provare a reagire, per non rimanere stretti nella morsa dell’oblio d’appartamento.
Ci scrivemmo così ad una scuola di ballo, sempre discipline caraibiche, contemporaneamente però frequentavamo anche dei corsi di kizomba.
Decidemmo presto di mettere fine a quest’ultima disciplina, forse perché i suoi ritmi non prendevano nel giusto modo i miei fini recettori del divertimento.
Dopo due anni di girovagare, con poca convinzione, tra corsi di caraibico e serate libere della relativa disciplina, avevamo deciso di fermarci.
Fu così a settembre del 2024, venimmo a conoscenza che i titolari di una palestra che ospitava una nota scuola di balli ed attività varie, la Dance Explosion, avevano affidato, già da un anno, i corsi di danze caraibiche al Maestro Daniele Guenda Carpo ed alla sua compagna di vita Eva Ratti.
Conoscevamo Daniele, per averlo visto più volte in passato esibirsi nelle varie serate danzanti a tema, durante degli stage o ancora più spesso in veste di animatore e coreografo del gruppo dei Vacuna Boys.
Un bel trio che faceva scatenare i partecipanti con balli divertenti e molto aggreganti.
Aveva un modo tutto suo particolare di ballare. Nonostante l’altezza riusciva ad essere sempre fluido e sinuoso nelle sue performance. Inoltre era uno dei pochi dell’ambiente, che sapeva abbinare un abbigliamento sempre colorato e spesso floreale unito a piccoli cappellini, anche di paglia o similcarta, che lasciavano trapelare la sua folta capigliatura tendente alla boccolatura.
Fu così che memori di queste impressioni positive, ci presentammo presso la palestra dove operava la Dance Explosion, magistralmente diretta dai noti ballerini di caratura internazionale, specialisti delle danze latino americane: Andrea ed Eleonora
Le prime due lezioni di settembre erano gratuite e servivano al maestro per capire con che tipi di aspiranti avesse a che fare ed agli aspiranti allievi di capire le capacità, lo stile e le affinità con il maestro e la scuola.
La palestra era bellissima, molto ampia, comoda e dotata di tutti i confort necessari.
Daniele accolse tutti i nuovi e vecchi pretendenti al corso con poche e mirate raccomandazioni, dove traspariva subito una sola cosa su tutte: “qui comando io, io sono io e voi non siete nessuno. Se avete scelto o sceglierete questo corso per imparare a provare a ballare, siete nel posto giusto, non potevate scegliere di meglio”.
La voce ferma e decisa che non richiedeva nessun’aggiunta di ausilio amplificante, il fisico di chi può permettersi queste raccomandazioni, le movenze da lottatore di arti marziali più che da ballerino, incutevano rispetto. Il silenzio totale assoluto calò nella affollata palestra, quel silenzio che solo durante un lancio con un paracadute, ricordo di aver vissuto.
La scena timorosa era fortunatamente aggraziata dalla maestra Eva, la compagna di Daniele.
Fisico asciutto, abbinato ad un abbigliamento perfetto, metteva in mostra le sue fresche sinuosità da ballerina, accompagnato da un sorriso che faceva piacere, sempre magicamente affacciato sulla sua bocca. Eva guardava attentamente Daniele, mentre ci dava le informazioni sui corsi, senza mai perdere i suoi sprazzi di sorrisi piacevoli che mettevano di buon umore. Insomma, Eva rese tutto più facile e ci fece capire che se una così bella e sensuale ragazza potesse vivere con un Maestro che voleva incutere timore, tutto sarebbe diventato più facile anche per noi.
“A partire da questo momento e per tutta la durata della lezione, non voglio vedere braccia distese lungo il corpo, ma con il gomito piegato a novanta gradi e sappiate che anche se non sembra vi controllo sempre”. Era l’ultimatum che Daniele indirizzava a tutti i frequentatori del corso.
La lezione iniziò con i soliti passi base delle danze caraibiche, dove l’unica voce ed i comandi del maestro Daniele la facevano da padrone.
La prima e la seconda lezione passarono abbastanza veloce e tutto sommato in modo piacevole.
Daniele ed Eva ci convinsero appieno e senza riserve, ad iscriverci al corso. Alla fine eravamo davvero tanti, credo ben oltre i cinquanta iscritti.
Il corso si mostrò veramente all’altezza delle nostre aspettative. Daniele sapeva tenere sempre la situazione sotto controllo, avendo occhi in ogni dove. Quando meno te lo aspettavi arrivava puntuale il suo richiamo. Probabilmente era avvantaggiato dai larghissimi specchi della palestra, ma io ho sempre pensato che i suoi grossi occhiali gli dessero una buona mano.
Durante l’anno del corso, altri aspiranti allievi si aggiunsero, alcuni lasciarono per vari motivi personali, ma nel frattempo un bellissimo gruppo coeso si era formato, senza mai fare gruppetti in base alle capacità acquisite. Grande merito di Daniele ed Eva, quello di far crescere tutti allo stesso modo al ritmo frenetico della salsa e quello dolce e sensuale della bachata.
Si formò ben presto un bellissimo gruppo di ballo, che non si fermava alla mera presenza in palestra, per le consueti lezioni, ma grazie alla propositività del maestro Daniele, ci si ritrovava spesso nei vari locali a ballare divertendosi o durante i raduni conviviali organizzati dagli insegnanti con il supporto del bravissimo e simpatico DJ Cresta Latina, dove naturalmente la musica e soprattutto il ballo la facevano da padrone.
Al termine del primo anno di corso, tirando le mie personali somme, credo di aver appreso molto di più di quello che sapevo prima, se non altro Daniele mi aveva dato la capacità di ballare senza avere la difficoltà di ricordare le schematiche figure impartite. Mi aveva fatto capire che il ballo, soprattutto i balli caraibici, devono renderti libero in pista, dove con la complicità della partner, riesci a seguire la musica a tempo, sempre fondamentale, fino a diventare un tutt’uno con il divertimento spensierato che naturalmente ne consegue.
Al termine del corso, Daniele ed Eva hanno stilato le “pagelle” per tutti noi allievi. Un modo simpaticissimo per salutarci e ritrovarci per un altro anno di corso.
Purtroppo l’avanzata età, non mi ha permesso di prendere un voto alto come avrei desiderato, ho pagato pesantemente i vuoti di memoria dovuti al lento regredire delle mie cellule intellettive.
Ma sicuramente il contrappasso lo ha fatto la voglia di divertirmi che mi ha supportato per tutto il periodo, ma di questo devo rendere grande merito ai nostri meravigliosi maestri Daniele ed Eva.
Ci ritroveremo sicuramente a settembre, con l’inizio di un nuovo corso, sempre con le braccia su e con la sicurezza acquisita di essere seguiti da ottimi insegnanti.
15 Settembre 2025
Nello Ricciardi
Era felice, entusiasta e non vedeva l’ora di congiungersi a lei e sposarla per poi portarla con lui a Peterborough, con il dichiarato obiettivo di costruire insieme una nuova famiglia, il loro futuro.
Rimase un tantino sorpreso nel non intravedere, da parte dei suoi familiari, una seppur mesta accettazione delle sue scelte, ancorché fossero affrettate.
Decise così di togliere ogni dubbio a tutti, dichiarando la sua volontà di non voler più perdere tempo e di sposarsi il più presto possibile, anche in sua assenza, seppure avesse dovuto farlo per procura.
Giuseppe era pronto a tutto, non vedeva l’ora di sposarsi e di convolare finalmente con Stella in Inghilterra.
Purtroppo la parentela di Giuseppe non la prese tanto bene. Non riuscivano a capacitarsi del motivo per cui voleva sposarsi proprio con una donna del sud, che oltretutto conosceva appena, anzi, non la conosceva affatto. Con tutte quelle donne che avrebbero fatto carte false per sposarlo nel suo paese a San Martino di Venezze. Avevano il sentore ed il timore di perdere irrimediabilmente per sempre Giuseppe.
Il tempo era tiranno; al giovane gli era rimasto pochissimo tempo a disposizione per preparare il suo matrimonio; sapeva che per quell’anno non sarebbe potuto tornare di nuovo in Italia. Non si perse d’animo, chiese aiuto al suo fratello maggiore, che si mise a disposizione. Andarono insieme dal sindaco del paese e da un notaio, per chiedere consigli e chiarimenti. Ottenute le giuste informazioni e garanzie, organizzarono tutto il difficile e complesso apparato burocratico, al fine di celebrare il matrimonio a dicembre dello stesso anno; in assenza dello sposo, senza Giuseppe. Quando finalmente fu sicuro di aver preparato tutto, avendo terminato i giorni di ferie a disposizione, partì per l’Inghilterra.
Il lavoro lo chiamava inesorabilmente.
In quella inusuale e lunghissima estate del 1956 e fino a tutto il mese di dicembre, ci fu una fitta rete di corrispondenza tra i due promessi sposi. Entrambi anelavano le rispettive lettere come l’aria quando inizia a mancare.
Finalmente a Stella arrivò la missiva giusta che tanto attendeva, quella contenete i documenti necessari per celebrare il rito civile per il matrimonio. Si doveva solennizzare subito dopo Natale, come da accordi presi con le autorità della provincia di Rovigo.
Stella partì da Palma Campania, direzione San Martino di Venezze. Teneva stretta con sé i preziosi documenti per il matrimonio e custodiva nel cuore la benedizione ricevuta dalla sua famiglia: Era da sola con la sua sorte.
Arrivò a casa della famiglia di Giuseppe, dove poté fare conoscenza con i futuri suoceri ed i cognati tutti. Giuseppe purtroppo, nonostante i vari tentativi, non riuscì a venire in Italia.
Furono dei giorni difficili per la ragazza. Fu accolta abbastanza bene, ma non capiva quasi nessuno dei discorsi che facevano i familiari, quel dialetto le risultava ostico e difficilissimo da comprendere.
Il 31 dicembre del 1956 il fratello maggiore di Giuseppe lo rappresentò davanti all’autorità comunale, grazie ad una procura preparata per tempo, nell’unione civile con Stella.
Giuseppe e Stella furono dichiarati marito e moglie durante una cerimonia mesta e molto formale.
Stella era felice, era diventata la moglie di Giuseppe, ma triste per la mancanza del primattore di quell’unione.
Due giorni dopo, Stella fece ritorno a casa, a Palma Campania, in attesa che il neo marito potesse inviarle il permesso di soggiorno per la Gran Bretagna, così da poterlo poi raggiungere a Peterborough con la speranza di trovare anche un buon lavoro.
La documentazione arrivò nel mese di marzo del 1957. Il fratello di Stella l’accompagnò alla stazione di Napoli. Piangeva preoccupata Stella, per tutto. Il fatto di lasciare la sua famiglia, i posti dove aveva vissuto fin dalla nascita, le sorelle ed il fratello, affrontare un lunghissimo viaggio verso una grandissima e sconosciuta grande Isola, che avrebbe dovuto accoglierla probabilmente per tutta la sua vita: erano per lei motivi di grande apprensione.
Si fece forza e coraggio, salì su quel treno in direzione Milano per poi proseguire verso il Canale della Manica e quindi arrivata sull’Isola, raggiungere la capitale, Londra.
Anche questa volta era sola con le sue paure ed i suoi sogni, ad affrontare un lungo e mai sperimentato viaggio.
Trovò il marito ad attenderla alla grandissima stazione di Londra. Il cielo era plumbeo, pioveva e faceva molto freddo, finalmente poterono abbracciarsi e si baciarono lungamente con ardore, per la prima volta da quando si erano conosciuti. Un bacio appassionato che avrebbe dovuto suggellare quanto anelato fino a quel momento. Arrivarono a Peterborough, vennero ospitati nella casa degli amici di vecchia data di Giuseppe, Bruno e Gina, fintanto che avessero trovato una sistemazione familiare più idonea.
Stella aveva una buona tempra, caparbia e risoluta, riuscì fin da subito ad adattarsi a quella nuova situazione, a conoscere bene il carattere del suo Giuseppe in tutte le sue sfaccettature. Ovviamente aveva molta difficoltà a comprendere la lingua, quando andava in giro per la città, ma fortunatamente era attorniata da molti italiani, tra cui tantissimi provenienti dalla Campania che le facilitavano il compito. Anche Stella cominciò fin da subito a seguire, con non poca difficoltà, corsi serali di lingua inglese.
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| Farrows Factory | 
Finalmente un giorno Giuseppe le disse che nel weekend sarebbero andati a vedere una piccola casetta dove potevano finalmente stare insieme da soli. L’alloggio da prendere in affitto, era situato all’interno di un complesso a schiera nella Princess Road Fletton sempre nella città di Peterborough.
Sistemarono al meglio la loro prima casetta; erano felici.
Lavoravano entrambi alacremente e riuscivano a risparmiare qualche sterlina. Superarono anche il fatto di non capire entrambi i rispettivi dialetti, quando anche Stella imparò a parlare inglese. Nel 1959 nacque il loro primo figlio maschio, nel 1962 nacque una bambina. La casa cominciava a diventare stretta.
Quando i figli avevano cinque e due anni, presero una decisione molto sofferta, che avrebbe potuto cambiare per sempre il futuro loro e della loro famiglia. I genitori di Giuseppe erano anziani ed il figlio cominciò a soffrire per quella lontananza. Decisero così, dopo non poche discussioni, di lasciare la casa, il lavoro e l’Inghilterra, per fare ritorno in Italia, a San Martino di Venezze, dove potevano abitare con la famiglia e cercare lavoro.
Purtroppo dopo circa un anno di permanenza nel basso Veneto, non tutto andava per il meglio. Stella ed i figli soffrivano nel riuscire a comprendere quel dialetto ostico. Il lavoro precario trovato non offriva grosse garanzie per il futuro, inoltre nessuno di loro era coperto dalla sanità nazionale ed oltretutto non riuscivano a mettere da parte i contributi per una futura pensione, avendo interrotto l’accumulo di quelli versati in Inghilterra.
Decisero, dopo lunghe e difficili discussioni di ritornare a Peterborough. Riconoscendosi il grosso errore fatto ed il tempo perso. Dovettero presto trovare un’altra casa in affitto. La presero subito in Palmerston Road Woodston.
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| Bull Hotel | 
Giuseppe purtroppo non poté rientrare alla London Brick, in quanto dovette essere subito operato alla schiena per gravi problemi alle vertebre, fortemente usurate a causa del precedente lavoro.
In quel lungo periodo convalescenza, Stella assicurò alla famiglia le opportune entrate finanziarie, ma appena Giuseppe si sentì abbastanza bene fisicamente, trovò subito un nuovo lavoro, presso l’ospedale PCH Peterborough District Hospital su Thorpe Road. Era addetto alle pulizie dei pavimenti, da fare utilizzando un nuovissimo macchinario che lavava e sterilizzava a dovere i rivestimenti sintetici a terra.
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| PCH Peterborough District Hospital | 
Finalmente avevano una casa loro, adatta e comoda anche per due figli. La vita scorreva tranquilla, ormai per Stella erano passati circa dieci anni dalla sua immigrazione in Inghilterra. Si erano ben abituati alla vita ed alle abitudini del popolo inglese. Anche l’alimentazione fu adeguata alle abitudini locali.
Soprattutto con la colazione. Così “breakfast is breakfast”: accanto al tè e alle altre bevande calde spuntano, il pane tostato con marmellata d’arancia e riccioli di burro, porridge (una pappetta di orzo e avena), uova strapazzate con bacon (la pancetta affumicata) e le immancabili salsicce. Il pranzo consumato in genere attorno alle tredici, era concepito come spezza-digiuno, semplice e rapido, spesso a base di panini o tramezzini (sandwiches) con prosciutto o roastbeef.
Vera e propria istituzione era il tea time, tutti i pomeriggi attorno alle diciassette, quando attorno a bollitori fumanti si imbastiva il rito del tè all’inglese, accompagnato da minuscoli pasticcini e mini focaccine. Questa cultura del tè era uno degli aspetti più iconici delle tradizioni culinarie britanniche.
Tuttavia, Stella non dimenticò mai la sua famiglia, le sue sorelle ed il fratello in Italia, che non se la passavano proprio tanto bene economicamente. Insieme a suo marito dimostravano sempre tanta generosità, ed ogni tanto confezionavano pacchi di generi alimentari e indumenti da inviare alternativamente ad ognuno di loro.
Nel 1968, quando non se lo aspettavano, come un fulmine a ciel sereno, arrivò la terza bambina ad aumentare il loro nucleo familiare.
La famiglia fu così completata.
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| The Gable Thorp | 
Ogni tanto, quando il lavoro e le finanze lo consentivano, non disdegnavano di fare un viaggio in Italia, per rimanere in contatto stretto con i loro familiari. Erano delle bellissime occasioni, soprattutto tra i numerosi cugini, di approfondire la conoscenza con i parenti di oltre Manica.
La vita scorreva finalmente tranquilla, la famiglia aveva modo di frequentare una vicina Chiesa di rito Cattolico. I ragazzi crescevano bene ed integrati benissimo nel tessuto sociale locale.
Purtroppo però, tempi grigi si addensarono su questa bellissima famiglia. Questa volta non era il tipico meteo inglese a portare grosse nubi, ma il nero destino.
Giuseppe nel 1975, si ammalò gravemente, di una orrenda malattia. La sua bruttissima convalescenza durò circa due anni, passati tra letti di ospedale e la casa. Sempre attorniato da tutti gli affetti familiari. Purtroppo il Signore lo chiamò accanto a sé, strappandolo dall’amore familiare, alla giovane età di quarantotto anni, senza tener conto dei duri sacrifici che aveva messo in campo fino ad allora.
Stella ed il resto della famiglia ne uscirono distrutti.
Non si persero d’animo, i figli si strinsero attorno a lei, che aveva sempre dimostrato di essere una donna molto forte e coraggiosa. Lavorò imperterrita, allungando anche i tempi del lavoro, per non venire meno ai bisogni dei suoi figli.
Stella arrivò a compire i sessant’anni, quando decise di ritirarsi dal lavoro chiedendo di andare in pensione. Lasciò per sempre Peterborough e questo mondo all'età di ottantaquattro anni, raggiungendo il caro marito che l’aspettava in paradiso.
La loro vita in terra, non fu vissuta vana.
I figli, di questa bellissima coppia, tutti sposati, misero al mondo la terza generazione di italiani immigrati in questa Terra d’Oltre Manica.
Ma il tempo scorre inesorabile per tutti, la vita continua e qualche virgulto di quarta generazione è già arrivato, continuando a crescere sotto il cielo inglese.
Nel link di seguito la prima parte
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| San Martino di Venezze | 
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| Fornaci di mattoni | 
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| Palma Campania |