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sabato 30 luglio 2016

LE BIGLIE DI VETRO COLORATE

Lo slargo di San Vito, davanti alla chiesa dei frati francescani era il ritrovo di tutti i ragazzi del quartiere. In quell'ampio e tranquillo spazio alberato, si consumavano i nostri pomeriggi e le serate della nostra adolescenza. Il luogo di appuntamento era sotto la statua di marmo della Madonnetta, posta all'ingresso dello slargo. Spesso dovevamo dividere gli spazi con gli adulti che di sera utilizzavano i corridoi sterrati laterali  per  lunghe e chiacchierate partite di bocce.

Quando libero dalle auto,  parcheggiate dai frequentatori della chiesa, quel campo naturale di giochi diventava esclusivamente nostro.
Lo slargo, per la sua conformazione, vegetazione ed ubicazione, era l’ideale per svolgerci numerose attività ludiche.
Lo svago principale, chiaramente, era dare calci al pallone, appena ci si ritrovava in numero minimo per formare due squadre, si iniziavano partite interminabili, talvolta anche tre contro tre. Man mano che i ritardatari arrivavano si inserivano a partita iniziata. Quegli incontri, di cui si finiva per dimenticare il punteggio, comunque sempre a due cifre, terminavano sempre con il classico: “chi segna l’ultimo goal ha vinto”.
Ideale per andare in bici, giocare a nascondino, a bocce, ai classici giochi ormai dimenticati e sostituiti dagli smartphone, la cavallina, una monta l’una, lo strummolo, i vari giochi con le figurine dei calciatori,  le biglie di vetro, insomma un vero campo sportivo polivalente all'aperto.
Tutti questi giochi aiutavano a socializzare, a conoscerci tutti ed ad integrare i gruppi di varie età. Tutto veniva svolto sotto l’occhio vigile dei frati, che così avevano un bacino numeroso di ragazzi da avviare ai vari gruppi organizzati in seno alla chiesa. Quasi tutti, infatti, eravamo iscritti e più o meno frequentatori delle varie associazioni cattoliche, quali gli Araldini, gruppo Gifra, e lo Scoutismo.
 Un’ala del convento era anche utilizzata dal plesso scolastico, sia elementare che medie. Ma negli anni di iscrizioni numerose, c’era il bisogno di reperire aule che spesso venivano ricavate da abitazioni private.
In un determinato periodo, alcune di queste aule si trovavano sotto il palazzo Gentilini, proprio al limite dello slargo San Vito.
Una delle maestre, che fu anche la mia maestra delle elementari, era Carmela Correale. La maestra aveva l’abitudine di sequestrare tutte le biglie di vetro che gli alunni tenevano in tasca, pronti ad utilizzarle negli intervalli. A fine fine anno scolastico aveva uno dei cassetti della sua scrivania praticamente pieno di splendenti palline dai vivaci multicolori. Ve ne erano di tutti i tipi e dimensioni, da quelle piccoline a quelle medie alle pallettone giganti, a quelle bianche che sembravano di marmo. Quando si apriva quel cassetto i ragazzi rimanevano ammutoliti e sognanti.
Il gioco delle biglie ci accattivò per un lungo periodo.  Le buche scavate nelle piazzole sotto gli abeti erano innumerevoli, ognuno aveva le sue preferite. Talvolta perché strategiche al proprio gioco talvolta perché ritenute le più fortunate.
Non tutti però avevamo la possibilità di comprare le biglie per giocare e spesso le risorse venivano recuperate attraverso altri giochi o scambi con figurine panini.
Fu proprio la mancanza cronica di materiale per giocare, unitamente al carattere audace e sprezzante del pericolo a spingere Giovanni Auriemma e Sebastiano Sapio a tentare l’impossibile per recuperare il materiale per ritornare a giocare tra le buche di terra.
Forse non prepararono neppure un piano, si incontrarono per caso.  Giovanni per andare alla Madonnetta, doveva passare davanti l’abitazione di Sebastiano.  Strada facendo passavano poi davanti al giardino situato dietro alle due aule scolastiche. Non ci pensarono nemmeno un minuto. Scavalcarono la rete, ed attraverso una finestra lasciata socchiusa, entrarono di soppiatto nelle aule. Aprirono il famoso cassetto pieno di biglie. Rimasero sbalorditi ed ammutoliti da così tante munizioni da gioco. Erano davvero innumerevoli. Riempirono il più possibile tutte le tasche disponibili ed anche qualche contenitore fatto all'occorrenza con fogli di carta. Nonostante ciò non riuscirono a prenderle tutte, erano il frutto di anni di sequestri e paziente accumulo della maestra.
Soddisfatti del bottino, fecero ritorno nella strada e felici e contenti si avviarono al campo di gioco pronti a sfidare tutto il paese, sicuri di essere invincibili.
Si sedettero sugli scalini di marmo della bianca madonnetta, ad aspettare le loro prime vittime. Io arrivai da lì a poco e fui subito sfidato, ma ahimè non avevo munizioni disponibili per poter accettare la sfida.
Mentre mi raccontavano, ghignando e soddisfatti, della loro impresa, arrivarono Ciro Di Napoli e Antonio Pacchiano, due fuoriclasse del gioco delle biglie.
Con la presunzione derivata dall'alto numero di biglie possedute e la spavalderia di chi sa che non potrà mai perdere, sfidarono i due ignari, che non sapevano ancora delle quantità di palline possedute dagli sfidanti. Era come se l’Unione Sovietica dichiarasse guerra a San Marino.
Antonio e Ciro riuscivano a mettere insieme una decina di biglie in tutto. Malgrado ciò accettarono lo scontro.
Ciro era un mancino naturale, dotato di una mira eccezionale ed un modo tutto suo particolare di tenere la biglia sul dito piegato all'inverosimile, prima di farla partire come un missile intelligente contro la pallina statica da colpire. Era un cecchino nato e nessuna biglia si salvava dai suoi tiri, diretti e talvolta persino a parabola.
Con la calma e la precisione, Antonio metodicamente riusciva ad entrare in tutte le buche al primo colpo, così poteva contare sul comando delle operazioni a seguire. Fu tutto uno scoppiettare di vetro scalfito, biglie rotolanti e polvere che si sollevava sotto i piedi e le ginocchia in posizioni ora di attacco ora in difesa.
Non durò molto quella partita, nonostante le munizioni in campo sfoggiata dalla coppia spavalda. In breve tempo altri spettatori si fermarono incuriositi da quello scontro epico. Nulla poterono i sempre sorridenti e sudati Sebastiano e Giovanni. Le loro tasche si svuotarono  inesorabilmente andando a riempire quelle di Antonio e Ciro. Ai perdenti, derisi e mortificati da tutti, non restò che tornarsene a casa, senza una pallina, a meditare nuove strategie  e di gioco e di rifornimento.
Antonio e Ciro dimostrarono ancora una volta di possedere una naturale propensione a quel gioco. Non a caso, nessuno di noi voleva mai giocare con loro.
La routine si impossessò di nuovo dello slargo di San Vito. Altre partitelle seguirono negli anni. Ma questa rimase a pieno titolo nell'albo dei miei ricordi.
Marigliano anni '70.
Nello Ricciardi





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