La conoscenza di Rita sconvolse non poco il mio bioritmo
abituale. La sensazione nuova che mi persuadeva era quella di sentirmi
disarmato davanti al suo sguardo tenero e penetrante. Rita era poco più che
adolescente, anche se mostrava sembianze e modi di una ragazza matura. Di
solito, nel mio tempo libero e lontano da Montemarcello, il suo paese, non
pensavo più di tanto a lei, avevo la mia fidanzata, seppur a seicento
chilometri di distanza. Quest'ultima aveva qualche anno più di me, bella e
brava ragazza, fortemente innamorata, ma anch'io di lei del resto. L'avevo
conosciuta al mare durante una licenza estiva
del millenovecentottanta. Ci fidanzammo subito, ma nei due anni a
seguire ci vedemmo non più di una quarantina di giorni in tutto. Il poco tempo
insieme, unito alla lontananza ed ad una subentrata situazione nuova, trasformò
piano piano il mio amore maturo ed incontrastato, in un amore platonico, costituito
da epistolari romantici e lunghissime telefonate strazianti, dove la passione e
la sincerità diminuiva di pari passo ed inversamente proporzionale al numero ed
al peso dei gettoni telefonici impiegati nelle lunghissime discussioni.
Quell'amore cominciò per me a diventare triste e sofferto, nonché frustante.
Tuttavia, non trovavo né il coraggio né una vera motivazione per mettere fine a
quello che ormai non sentivo più appartenermi.
A superare quella
crisi sentimentale, mi aiutò la nuova compagnia di Montemarcello. Le ragazze
che avevamo conosciuto erano veramente un bel gruppetto unito di amiche. Sempre
allegre e scanzonate. Ormai era diventata mia abitudine, al termine del lavoro,
percorrere quei trenta chilometri, che separavano il Varignano, dove era
ubicata la mia caserma, da quel paesino,
per unirmi a loro.
Quasi tutte
frequentavano le scuole superiori nel capoluogo, nel pomeriggio aiutavo
qualcuna di loro nei compiti di scuola, soprattutto negli esercizi e problemi
di matematica, materia dove un tempo a scuola eccellevo, al contrario, in italiano ero sempre stato una vera schiappa.
Anche Rita, come me, era
impegnata con un ragazzo della sua età. Non li vedevo molto attaccati per la
verità, ma quelle poche volte che stavano insieme, sentivo qualcosa nello
stomaco che mi ulcerava. Non era sicuramente ancora gelosia, ma sicuramente mi
dava un gran vero fastidio.
Cercavo in tutti i modi, nei
pomeriggi passati in amicizia, di stare sempre il più possibile lontano da lei,
sapevo che per me era una bomba pronta a
detonare, contestualmente facevo di tutto per non incrociare i sui occhi, li consideravo
la spoletta che potesse far esplodere quell’ordigno.
Dopo alcuni mesi andai in
licenza, dove ritrovai la mia fidanzata. Ma le cose tra di noi non andavano
bene. Tutte le litigate accumulate via telefono chiesero il conto e cominciammo
a discutere fortemente. Sapevo che la colpa di quell'amore che stava finendo era solo mia.
Cominciai a trovare le scuse più assurde per non vederci più assiduamente come
prima. Ma nello stesso tempo non riuscivo a mettere fine a quella storia senza
un vero motivo concreto. Durante quei dieci giorni di licenza il tempo non
passava mai, o meglio, passava malinconico e piatto. Non so perché, mi venne in
mente di chiamare a Montemarcello, al bar Arnold's, il locale che frequentavamo
insieme alle ragazze. Mi rispose proprio una delle ragazze e mi disse che la
domenica sarebbero andate tutte a La Spezia, per vedere il film che andava alla
grande in quel periodo, “Il tempo delle mele”.
Subito, al termine della
telefonata, decisi di mettere fine anzitempo alla mia licenza per rientrare a
Montemarcello.
Partii da Napoli il sabato
notte ed arrivai a La Spezia con le prime luci dell'alba. Feci quel viaggio con
la determinazione di sapere convintamente quello che volevo fare. Aspettai il
passaggio di quella lunga mattinata domenicale in caserma. Nel pomeriggio tardi andai ad
attendere Rita fuori dal cinema Astra in città.
La vidi uscire dal cinema,
presi il coraggio a due mani e la chiamai. Venne subito senza indugi e mi
chiese, pur sospettandolo, come mai mi trovavo li quando la licenza non era ancora terminata.
Non potevo più fingere né
continuare a non guardarla negli occhi e quando lo feci sentii le farfalle
nello stomaco. Gli confessai in modo chiaro e senza mezzi termini i miei
sentimenti, lei manifestò, in modo convinto, di sentire pari pari le stesse sensazioni verso di me.
Gli chiesi se potevamo
iniziare a frequentarci non più come amici, ma come innamorati, annuì subito
senza esitazioni. Le chiesi di prendere ancora una notte di tempo per rivedere
bene se quei sentimenti appena palesati non fossero frutto di un qualcosa di
diverso da quello che entrambi anelavamo. Le rivelai della mia storia
sentimentale e del suo recentissimo controverso epilogo e che, se anche lei avesse fatto lo
stesso con il suo ragazzo, entro il lunedì pomeriggio avremmo messo fine insieme
alle due storie che ormai non ci appartenevano più. Mi restituì un si convinto e mi guardò con i suoi occhi penetranti
ed umidi. Le chiesi di tornare a Montemarcello con le sue amiche, ci lasciammo
con l'intenzione di entrambi di rivederci il giorno successivo all'uscita dalla sua scuola. La salutai con una timida carezza sul suo viso da bambola, racchiuso dai
mille riccioli soffici e corvini. Sfiorai le sue labbra con le dita e sentii il
calore del suo respiro ansimante. Quel
respiro che ancora oggi mi toglie il fiato.
La guardai andar via e mi
accorsi che mi tremavano le gambe.
La sera stessa, con una
breve telefonata e tanta convinzione, misi fine al mia relazione lontana.
Il giorno dopo ero puntuale
fuori dall'Istituto Einaudi, frequentato da Rita. Salì in macchina e ci
salutammo con un semplice ciao. Percorremmo in silenzio pochissimi chilometri,
verso Montemarcello. Mi fermai in un parcheggio lato strada. La guardai dritta negli occhi,
quegli occhi che mi incutevano ormai amore fuso e profondo. Senza parlare, ci
avvicinammo, chiudemmo entrambi gli occhi. Le nostre labbra si attrassero come
calamite per fondersi insieme. Iniziammo da li, il nostro viaggio verso il
paradiso.
Montemarcello 1982
Nello Ricciardi