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lunedì 20 aprile 2020

LE VACANZE A POSILLIPO

Agli inizi degli anni settanta, mia mamma lavorava a servizio, presso una famiglia che abitava in Corso Umberto I a Napoli. Il titolare era un avvocato, anche proprietario di una tenuta agricola in provincia di Arezzo, dove amava trascorrere i periodi di fine estate, quelli che introducevano alla stagione della vendemmia e della raccolta delle olive. Il periodo, fortunatamente per noi, combaciava con la settimana di ingresso gratuito, ad uno stabilimento elioterapico, per tutta la nostra famiglia, eravamo sette in tutto. La possibilità ci era stata offerta dai servizi sociali del comune di Marigliano, che regalava, alle famiglie indigenti e numerose, una settimana di settembre da trascorrere al mare, in uno stabilimento balneare a Posillipo.
Era la prima volta che ci capitasse di usufruire di questa inaspettata possibilità.
Di solito andavamo al mare, sporadicamente e per singole giornate, prendendo un autobus o il treno per recarci al lido Mappatella di Torre Annunziata.
Fu così che il datore di lavoro di mia mamma, allo scopo anche di avere un controllo del suo appartamento rimasto vuoto, ci offrì di soggiornare a casa sua, rendendoci i viaggi giornalieri per lo stabilimento balneare molto più agevoli.
Ci ritrovammo così a scorrazzare in quell’appartamento grande e signorile al centro di Napoli.
La prima sera dormimmo poco, nonostante fossimo al quarto piano, sentivamo tutti i rumori del traffico cittadino e le numerose sirene delle forze dell’ordine e delle ambulanze che sfrecciavano velocissime nel sottostante corso stradale. Ci mancò subito la quiete della nostra tranquilla periferia di paese. Trascorsi parecchie ore di quella sera, affacciato al grande balcone, ad osservare incuriosito tutto quello che succedeva in quello sprazzo cittadino. A Napoli la gente non si fermava e non dormiva mai.
Arrivò presto mattina, dopo la colazione con latte, biscotti marie e ovomaltina, questi ultimi una gustosa novità per noi, abituati alla zuppa di latte con il pane raffermo. Prendemmo tutta la mercanzia necessaria per trascorrere una giornata al mare, sembrava un trasloco. Ci dirigemmo verso la fermata dell’autobus, direzione Posillipo. Borse con teli da mare, ombrellone, valigetta frigo con dentro il mangiare per una settimana,  l’immancabile pizza di maccheroni, cotolette ben allargate e sottili e peperoni in agro dolce in quantità industriale, finalmente, senza badare a spese. Ognuno aveva più di qualcosa da portare, non erano esclusi Rosanna ed Umberto, i più piccoli della nidiata, solo mio fratello Giacomo aveva, sotto il braccio, l’inseparabile pallone super santos.
Riuscivamo da lontano a scorgere il bus che ci avevano consigliato. Ormai risucchiati dalla folla in attesa, a stento riuscivamo a contrastare gli spintoni per guadagnare posto nel probabile punto di fermata ed apertura della porta. Mia mamma era espertissima a calcolare il punto esatto, cominciava ad ondeggiare prima con qualche finta, poi anche ad alta voce: “Venite, venite, tanto si ferma qua”. Ma all’ultimo momento, con una mossa repentina  scattava sul lato opposto, il tutto tenendoci con mano a formare una corda umana. Signori biglietti, signori biglietti, urlava accaldato il fattorino inascoltato dai più. Tutti a precipitarsi ad occupare i pochi posti, anzi gli spazi, in piedi ancora rimasti. Non mancava mai qualche pittoresca scaramuccia, soprattutto tra le donne. Mia mamma in questo era insuperabile, riusciva ad intromettersi in tutte le discussioni e ne diventata subito la protagonista. Alla fine più di qualche promessa di accapigliarsi, ricordandosi a vicenda probabili antenati di cattiva fama, oppure affermando dell’altra origini incerte, non succedeva mai nulla.
Fortunatamente il Largo Posillipo arrivava presto. Iniziava così la corsa all’ingresso dello stabilimento per accaparrarsi i posti migliori. Era sempre lei, la nostra lottatrice ad andare avanti. Mia mamma era una super mamma, senza costume da super eroe. Noi rimanevamo con mio padre, che con tutta calma ci portava verso l’ingresso del Bagno Elena.
Lo stabilimento elioterapico era formato da una stretta striscia di sabbia vulcanica di color nero. Faceva parte di uno dei primi lidi nati a Napoli, frequentato nel dopoguerra da Totò ed Eduardo De Filippo. Questo meraviglioso angolo di storia partenopea era racchiuso tra i palazzi Donn’Anna e Guercia. Un’oasi marina sbocciata in pieno centro urbano tra i palazzi liberty, presenti numerosi nella zona.
Una lunga ed abbastanza ripida scalinata in travertino immetteva allo stabilimento, si attraversava un bar con l’immancabile jubox, dove perdevamo subito Giacomo, attratto dalle melodie dei Pooh, sempre presenti a quei tempi.
Le cabine, non avendo spazi a terra, erano state costruite su una lunga impalcatura di palafitte sul mare. Già dal patio del bar vedevamo nostra mamma che si sbracciava contenta di mostrarci la miglior posizione guadagnata.
Dopo aver preso posto, allargando il più possibile il territorio conquistato dalla nostra eroina, io, mia sorella Anna e Giacomo andavamo in spiaggia, dove già stazionava un gruppo nutrito di nostri coetanei. I due più piccoli, pala e secchiello in mano, rimanevano all’ombra con i nostri genitori, già intenti a preparare il leggerissimo pranzo.
Stringemmo subito amicizia con il gruppetto di ragazzi, ci invitarono così a partecipare al gioco della bottiglia.  Seduti in cerchio, la bottiglia girava e quando si fermava indicava la persona che doveva dare un bacio o una penitenza a chi voleva. Quel gioco non mi attrasse più di tanto, anzi mi risultò subito noioso e discriminante. Giacomo, fin dal primo giro, acchiappava solo baci da tutte le ragazze, a me, invece, toccavano tutte le penitenze. Finiva sempre che me ne andavo scoraggiato in acqua, sotto l’impalcatura delle cabine e tenendomi e spingendomi da un palo all’altro, cercavo di guadagnare il largo in sicurezza. Quando arrivavo in fondo alle cabine, potevo vedere i temerari che si tuffano dall’impalcatura soprastante a capofitto. Capobanda sempre Giacomo. Sembrava un delfino per come si proiettava sotto il pelo dell’acqua.  Io, che in tutta sincerità, provavo un sentimento di orgoglio e di invidia per non essere così coraggioso, rimanevo prudentemente attaccato come una cozza all’ultimo palo, finendo di passarci alcune ore ben appeso, prima di decidermi, attratto dall'odore delle cotolette, a rientrare con molta cautela, non tralasciando di pensare con terrore all’abisso che si celava sotto i miei piedi!
Quella prima sera, a casa, mi presi la rivincita. Giacomo piangeva dal mal d’orecchie, a causa dei numerosi tuffi e sfide a raggiungere il fondo del mare. Io mi pavoneggiavo allungando oltremodo il collo, perché non sentivo assolutamente nessun fastidio se non il suo pianto. 
Eh eh, non ti preoccupare Giacomo, domani ti faccio vedere il mondo da sotto le cabine!

sabato 18 aprile 2020

LA VITA AI TEMPI DEL COVID19.


Era più di un mese che stavo a casa, ligio ai vari dcpm. Ma ieri mattina, venerdì 17, dovevo uscire con Rita per andare dal notaio. Lo studio si trova a Marina di Carrara, altro comune, altra regione!
Entrambi abbiamo avuto una notte insonne e pensierosa, non tanto per il costoso atto notarile che andavamo a stipulare, quanto per
il pensiero di essere fermati da quei cattivi figuri che imperversano nei numerosi filmati virali su Facebook. Questi ormai tristemente famosissimi uomini in divisa, che pullulano sulle nostre strade vuote, fermano chiunque gli passi davanti e dopo aver chiesto i documenti, quando va bene, fanno verbali da svuotare il conto in banca, dopo averti ridicolizzato con sguardi duri ed atteggiamenti di rambesca memoria. Ma se qualcosa non va per il verso giusto, ti assalgono cercando di contorcerti le braccia dietro la schiena, per provare a fissare ai polsi quei bellissimi braccialetti lucenti che hanno sul cinturone. Ma se ti opponi, sputando o addirittura resistendo, allora sono schiaffi, pugni, calci e sbattimenti per terra. Ovviamente non mancherà il buon samaritano, che mosso a compassione, girerà tutta la scena con il suo telefonino, per poi darla in pasto al popolo degli acab mai domi sui social.
La macchina, ormai ferma anche lei da più di un mese parte subito. Un ultimo controllo ai documenti d'identità, l'autodichiarazione debitamente compilata, il foglio con l'invito del notaio e copia della mail con appuntamento.
Rita insiste per lasciare a casa l'elmetto ed il giubbotto antiproiettile. Insisto per portare almeno le protezioni per polsi, ginocchia e gomiti di rotellistica memoria. Niente da fare, mi dice che basta la mascherina ed i guanti di gomma.
Mi convince e partiamo. Le strade sono vuote e desolate il panorama è bellissimo e terso come la giornata. Non ci sembra vero di essere tornati nella nostra vecchia macchina, insieme come tanto prima.
Quando arriviamo sul lungomare di Marinella, da lontano scorgiamo una macchina grigioverde con lampeggiante, al bordo della strada e due militari con la paletta pronta da mostrarci le loro insegne e relativo comando di stop. Comincio a sudare freddo, cerco di infilarmi goffamente la mascherina, imprecando verso Rita che non ha voluto sedersi dietro, le chiedo di spostarsi almeno di un metro buono e lei obbedendo si appiccica alla portiera. Ormai lo vedo in faccia, cattivissimo, ghigno sicuro e paletta diritta verso il centro dei miei occhi. Rapidamente vado a cercare nel cassetto della mia memoria a lungo termine, alcune mosse di difesa personale da mettere in atto appena provasse a toccarmi. Sono fermo, abbasso il finestrino e con la faccia più cattiva che riesco a produrre lo fisso negli occhi. "Buongiorno signori, solo un normale controllo, favorisca patente e libretto e possibilmente un documento della signora che sta accartocciata sulla portiera affianco". Tutta una frase così lunga, pronunciata con estrema gentilezza e senza nemmeno provare a toccarmi?
"Se lo ritiene più comodo può scendere, altrimenti può rimanere in auto". A questo punto decido di mollare il manico di legno duro, che avevo smontato dal mio martello e che tenevo nascosto nel vano sotto il freno a mano.
"Avete mica una dichiarazione già compilata di dove andate, altrimenti ve la fornisco io".
Orgogliosamente tiro fuori le dichiarazioni compilate con estrema precisione, alle tre di notte, e gliele porgo.
"Andate da un notaio, signori? Avete per caso la convocazione?"
Con fierezza e gonfiando non poco il petto, gli consegno anche la convocazione notarile.
"Vi chiedo solo la gentilezza di aspettare un minuto mentre trascrivo i dati e poi vi lascio andare".
Guardo Rita, che intanto si era rimessa comoda al suo posto, ma che razza di forze dell'ordine ci hanno fermati? Per favore, sia gentile, per cortesia, vi lascio andare........ma come parla questo?
Non mi ha nemmeno guardato storto, rivolto un insulto, nessuna sfida a duello, nessun tentativo di prendere le manette luccicanti.
Mah, vatti a fidare delle forze dell'ordine.
Arriva di nuovo verso di me con tutti i documenti e porgendomeli mi dice: "Buona giornata signori, ho letto che lei è campano. Anch'io, sono di Caserta. Se dovessero rifermarvi i colleghi, vi forniranno loro un'altra dichiarazione perché questa la devo trattenere io.
Vi lascio comunque una copia della convocazione del notaio da mostrare ad eventuali altri controlli. Chiedo scusa se vi ho fatto perdere qualche minuto ma facciamo il nostro dovere".
Sono rimasto sconvolto, non poco, di tutto questo eccessivo buonismo.
Passo i documenti a Rita, saluto, anch'io, cordialmente e riparto.
Poi mi accorgo, guardando dallo specchietto retrovisore, che non c'era nessuno nelle vicinanze a girare il video da mettere su Facebook.
Ecco il motivo di questo racconto!