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venerdì 19 agosto 2016

LA TEMPESTA

L'alba era ancora seminascosta dalla linea alta e biancastra delle Apuane, nel cielo appena illuminato dalla timida luna, pascolavano greggi di nuvole che si muovevano lentamente verso sud.  La  brezzolina di maestrale, ancora acerba, si apprestava a gonfiare con fatica le nostre vele che da lì a poco avremmo issato, per dirigerci lentamente verso la meta assegnata.
La barca, costruita da un intraprendente gruppo di amici nel '92, aveva già navigato con diversi equipaggi ed aveva visto alternarsi  almeno sette comandanti più o meno abili alla navigazione, sempre comunque accorta,  il più delle volte a vista e senza allontanarsi mai in mare aperto.
Lo yacth si presentava in discreto  stato, ma con molte apparecchiature ormai obsolete da controllare o addirittura da sostituire.
Anche nel nostro caso, come di consuetudine e regole ben accertate, l'equipaggio fu scelto dai soci che armavano la barca. Ci accordarono la loro fiducia per i prossimi tre anni di navigazione, che avremmo dovuto diligentemente sfruttare per portare in acque tranquille ed acquisire agevolmente gli obiettivi che ci saremmo imposti e concordati con gli armatori.
Nessuno dei prescelti aveva esperienze di comando con una simile imbarcazione, anzi solo Fabrizio aveva guidato la barca, però quando era nuovissima ed appena uscita dai cantieri. Ma era passato troppo tempo e nel frattempo le regole di navigazione erano cambiate ed i codici e le norme erano diventati troppo cavillosi.
Prima di partire per la nostra navigazione ci assegnammo i compiti. Mio malgrado, fui proclamato skipper della barca con relativi compiti di supervisione e comando. L'ufficiale in seconda era Laura, una donna molto esperta in programmazione, conoscitrice di persone al di fuori delle nostre cerchie abituali. A Greta, la più giovane del gruppo, fu dato l'incarico di commissario di bordo e marketing.  Pietro, esperto commerciante, assunse il compito di furiere di bordo con compiti di daziere. Completavano l'equipaggio Clelia, che assunse i compiti di stampare i bollettini di bordo e di curare la cambusa, compito che divideva con Antonella, addetta anche alla comunicazione con gli Enti pubblici.
Prima di partire verso la nostra meta assegnata, controllai con meticolosità il livello di carburante.  Era veramente poco e ci avrebbe consentito pochissime miglia senza nessun porto raggiungibile facilmente.
Svuotammo i serbatoi e ne pulimmo il fondo dalla melma, in modo da avere gasolio pulito e filtrato nelle taniche. Nel frattempo avremmo dovuto viaggiare il più possibile a vela, per risparmiare il prezioso carburante, che ci avrebbe fatto navigare in tranquillità anche in acque più movimentate.
Appena fuori dal porticciolo, alzammo la randa, pronta a raccogliere il vento del nord, feci fissare il boma in maniera da non prendere subito troppa velocità.  Il mare di un blù intenso era particolarmente accogliente e la prua sbeffeggiava le piccole onde con armonia.
Eravamo  tutti in coperta ad ammirare i colori che ci offriva l'alba, consapevoli di poterci infilare in qualche pioggia o anche temporale , ma consci di essere una squadra unita da buoni intenti.
Durante la tranquilla navigazione, ci vennero incontro vari amici su diverse barche, chi ad augurarci il classico "in culo alla balena", chi ad offrire qualche litro di carburante da utilizzare nel lungo percorso. Non mancarono i naviganti che, seppur ben conosciuti,  ci offrirono la luce rossa di sinistra sfilando veloci verso l'orizzonte, senza nemmeno degnarci di un timido saluto.
Il sole era già abbastanza alto nel cielo, ma i cirrocumoli a pecorelle nel cielo avevano lasciato il posto a grosse formazioni di  nubi bianche simili a "panna montata", che non lasciava filtrare la luce solare. Sapevo che queste nuvole,  si formano a basse quote nei giorni caldi e soleggiati. Questa volta però avevano le sommità a cupola ed ingrigite oltremodo.
Chiamai l'equipaggio ad un controllo veloce e puntuale su tutte le attrezzature e le strumentazioni di bordo, sicuro che di li a poco ci avrebbe colto la pioggia.
Il vento diminuì fino ad avvertirne l'assenza, ormai la barca era ferma, pertanto feci ripiegare le vele ed accesi il piccolo motore entrobordo.
Non fu un'allegra partenza, quella dei pistoni, che sbuffarono prima brontolando e poi stridendo fumo nero ed acre che ci investì tutti, lasciandoci senza respiro.
Poi goffamente le bielle cominciarono a mulinare forzatamente i pistoni che riuscirono a dimenarsi nei cilindri con una certa regolarità, fino a trasmettere il giusto consenso all'asse dell'elica che iniziò a frullare il mare di poppa spingendo lentamente la barca in avanti.
Il mare non era più azzurro e liscio come in partenza, i cumuli sempre in numero maggiore e sempre più scuri, restituivano alla superficie del mare un colorito plumbeo. Il vento cominciò a soffiare con forza cambiando spesso direzione ed increspando oltremodo la superficie.
Le prime gocce di pioggia cominciarono a cadere rumorosamente sul ponte della barca, rimasi al timone per cercare di contrastare le onde, che nel frattempo erano cresciute, fino ad avere la forza di un adolescente che sente pulsare i primi ormoni nel cervello.
Le donne chiesero di scendere in cabina per ripararsi e per cercare di mettere sul fuoco qualcosa da mangiare.
Fabrizio e Pietro, indossarono una grossa cerata gialla e rimasero con me sul ponte di comando.
Intanto il sole venne inghiottito da cumulinembi scuri che man mano si addensarono sopra la nostra testa, pronti a scaricarci addosso ettolitri di acqua.
In lontananza si potevano scorgere, ormai ad intervalli regolari, grossi bagliori seguiti dai suoni cupi dei tuoni.
Presagendo un vago pericolo, pensai di girare il timone di 180 gradi e tornare nel porticciolo di partenza. Al termine della manovra di inversione, il motore, tra sbuffi e brontolii vari si fermò, regalandoci l'ennesima dose di fumo intenso nero ed acre.
Provammo a rimettere in moto più volte, fino a quando il motorino di avviamento non volle più sapere di rispondere ai persistenti giri di chiave.
Cominciai a preoccuparmi, l'acqua scendeva dal cielo copiosa, la temperatura si stava abbassando e le onde ormai cominciavano a sbattere prepotentemente contro lo scafo.
Era impensabile aprire le vele, in quanto nel frattempo il vento era diventato forte, impetuoso ed imprevedibile. Lo scafo ormai era abbandonato a se stesso. Non ci restò altro che pregare e sperare che quel temporale non si trasformasse in tempesta.
I fulmini ormai ci abbagliavano da vicino ed i tuoni ci ruttavano addosso tutta la loro aggressività, manifestata da centinaia di millimetri di pioggia fredda e fitta.
Le prime onde spumose cominciarono ad arrivare sul ponte spostando tutto quello che trovavano libero.
Chiesi a gran voce di inviare un SOS con tutti  i mezzi disponibili, nel frattempo mi legai alla spalliera dietro al timone, per cercare di governare la barca per quanto possibile.
Non sapevo più in che punto mi trovavo, non si scorgevano luci della costa in lontananza ed il radar aveva smesso di funzionare.
Pietro mi urlò che anche la radio non dava segni di vita e che le donne erano  impaurite e piangevano al pensiero di poter affondare. Ad un tratto sentii il timone durissimo e le luci di via sull'albero si spensero. Anche le batterie ci avevano lasciato.
Eravamo in balia delle onde, del vento e del temporale, nel bel mezzo di una vera tempesta.
La nave era ingovernabile, sembrava un guscio di noce sballottato tra i flutti. Mandai tutti negli alloggi a ripararsi, non c'era motivo per continuare a prendere freddo ed acqua.
Cercavo di buttare lo sguardo avvilito oltre quel muro di acqua per scorgere qualche barlume di luce, seppur in lontananza.
Nulla, solo buio ed acqua, l'unica luce era dovuta agli squarci dei fulmini tra le nere nuvole.
Le onde cominciarono a sovrastare tutta la barca, soverchiandola di una massa enorme di liquido spumeggiante e denso per la velocità.
Uno schianto di prua mi fece capire che l'albero maestro era andato perso, inghiottito dai flutti, insieme alla vela ed al boma.
Non sapevo le condizioni del resto dell'equipaggio, tutti rintanati sotto coperta. Non potevo muovermi perchè ero legato e se mi slegavo orobabilmente non sarei riuscito ad arrivare sottocoperta.
Non avevo più riferimenti e mi sentivo stanco e spossato, la tempesta sembrava ancora lunga da passare e la barca ad ogni ondata rischiava di scuffiare sul serio.
Non sapevo più cosa fare, o meglio, non potevo più fare niente se non pregare.
I cavalloni cresciuti a dismisura si abbattevano rumorosamente sul  ponte con una forza bestiale. Ormai anch'io ero sovrastato dalla loro altezza ed irruenza. Ogni onda mi riempiva le narici e la bocca di acqua salata, che mi innescava una tosse spossosa e cavernicola.
Ormai non riuscivo quasi più a respirare, acqua sopra, acqua sotto, acqua di lato, i boati dei tuoni assordanti mi pungevano forte i timpani arrecandomi forti e persistenti acufeni.
Seguita ad un enorme bagliore vidi un'onda enorme abbattersi sulla prua, con la forza di mille balene, si appropriò di mezza barca e la spinse verso le profondità scure e tumultuose.
Mi sentii sollevare come una piuma, priettato in alto là, dove nascevano i fulmini.
In un barlume mi ritrovai a capofitto pronto ad infilarmi sotto i flutti del mare in tempesta. Riuscii a scorgere, con gli occhi del terrore Nettuno e Poseidone che mi aspettavano a braccia aperte.
Uno di loro mi prese per le spalle e mi scosse violentemente.
"Nello, Nello svegliati, abbiamo la tavernetta allagata a seguito del violento temporale di stanotte".
Aprii gli occhi gonfi di lacrime, ero sudato fradicio nel mio letto, oltremodo sottosopra, e Rita continuava ad esortarmi a svegliarmi per aiutarla ad asciugare l'acqua che aveva allagato la nostra tavernetta.
"Nooooo ti pregoooo, basta acqua, prima voglio un caffè"!
19 agosto 2016
Nello Ricciardi