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domenica 16 febbraio 2025

I MIEI RACCONTI

(Clicca sui titoli per aprire il racconto da leggere)

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LE ORIGINI - PARENTI E FAMILIARI

7.    RICCIARDI ANIELLO, CLASSE 1921 - Mio zio

INFANZIA ED ADOLESENZA
5.   LA VASCA
15.  ZINGARI


LA MARINA MILITARE

2.   SEGNALATORI  
17.  I PUGILI

7.   KIZOMBA
9.   GINEVRA

RACCONTI QUASI VERI E  FANTASIA

1.  BOREA



GIUSEPPE AND STELLA, L'AMORE A TUTTI I COSTI. Parte 2


La Cattedrale di Peterborough

Giuseppe partì dalla stazione di Napoli diretto a Rovigo; lo accompagnarono al treno la sua neo fidanzata Stella ed il solito guardiano, il fratello maggiore Umberto. Arrivato a San Martino di Venezze, raccontò con grande entusiasmo alla sua famiglia di questo repentino ed avventuroso fidanzamento. Parlò senza mai fermarsi, nonostante la stanchezza accumulata nei faticosi viaggi fatti nei giorni precedenti. Raccontò del lunghissimo viaggio  fatto fino a Palma Campania, della conoscenza fatta con la nuova famiglia e soprattutto della sua amata fidanzata: Stella. 

Era felice, entusiasta e non vedeva l’ora di congiungersi a lei e sposarla per poi portarla con lui a Peterborough, con il dichiarato obiettivo di costruire insieme una nuova famiglia, il loro futuro.

Rimase un tantino sorpreso nel non intravedere, da parte dei suoi familiari, una seppur mesta accettazione delle sue scelte, ancorché fossero affrettate.

Decise così di togliere ogni dubbio a tutti, dichiarando la sua volontà di non voler più perdere tempo e di sposarsi il più presto possibile, anche in sua assenza, seppure avesse dovuto farlo per procura.

Giuseppe era pronto a tutto, non vedeva l’ora di sposarsi e di convolare finalmente con Stella in Inghilterra.

Purtroppo la parentela di Giuseppe non la prese tanto bene. Non riuscivano a capacitarsi del motivo per cui voleva sposarsi proprio con una donna del sud, che oltretutto conosceva appena, anzi, non la conosceva affatto. Con tutte quelle donne che avrebbero fatto carte false per sposarlo nel suo paese a San Martino di Venezze. Avevano il sentore ed il timore di perdere irrimediabilmente per sempre Giuseppe.

Il tempo era tiranno; al giovane gli era rimasto pochissimo tempo a disposizione per preparare il suo matrimonio; sapeva che per quell’anno non sarebbe potuto tornare di nuovo in Italia. Non si perse d’animo, chiese aiuto al suo fratello maggiore, che si mise a disposizione. Andarono insieme dal sindaco del paese e da un notaio, per chiedere consigli e chiarimenti. Ottenute le giuste informazioni e garanzie, organizzarono tutto il difficile e complesso apparato burocratico, al fine di celebrare il matrimonio a dicembre dello stesso anno; in assenza dello sposo, senza Giuseppe. Quando finalmente fu sicuro di aver preparato tutto, avendo terminato i giorni di ferie a disposizione, partì per l’Inghilterra. 

Il lavoro lo chiamava inesorabilmente.

In quella inusuale e lunghissima estate del 1956 e fino a tutto il mese di dicembre, ci fu una fitta rete di corrispondenza tra i due promessi sposi. Entrambi anelavano le rispettive lettere come l’aria quando inizia a mancare. 

Finalmente a Stella arrivò la missiva giusta che tanto attendeva, quella contenete i documenti necessari per celebrare il rito civile per il matrimonio. Si doveva solennizzare subito dopo Natale, come da accordi presi con le autorità della provincia di Rovigo. 

Stella partì da Palma Campania, direzione San Martino di Venezze. Teneva stretta con sé i preziosi documenti per il matrimonio e custodiva nel cuore la benedizione ricevuta dalla sua famiglia: Era da sola con la sua sorte.

Arrivò a casa della famiglia di Giuseppe, dove poté fare conoscenza con i futuri suoceri ed i cognati tutti. Giuseppe purtroppo, nonostante i vari tentativi, non riuscì a venire in Italia. 

Furono dei giorni difficili per la ragazza. Fu accolta abbastanza bene, ma non capiva quasi nessuno dei discorsi che facevano i familiari, quel dialetto le risultava ostico e difficilissimo da comprendere.

Il 31 dicembre del 1956 il fratello maggiore di Giuseppe lo rappresentò davanti all’autorità comunale, grazie ad una procura preparata per tempo, nell’unione civile con Stella.

Giuseppe e Stella furono dichiarati marito e moglie durante una cerimonia mesta e molto formale.

Stella era felice, era diventata la moglie di Giuseppe, ma triste per la mancanza del primattore di quell’unione.

Due giorni dopo, Stella fece ritorno a casa, a Palma Campania, in attesa che il neo marito potesse inviarle il permesso di soggiorno per la Gran Bretagna, così da poterlo poi raggiungere a Peterborough con la speranza di trovare anche un buon lavoro.

La documentazione arrivò nel mese di marzo del 1957. Il fratello di Stella l’accompagnò alla stazione di Napoli. Piangeva preoccupata Stella, per tutto. Il fatto di lasciare la sua famiglia, i posti dove aveva vissuto fin dalla nascita, le sorelle ed il fratello, affrontare un lunghissimo viaggio verso una grandissima e sconosciuta grande Isola, che avrebbe dovuto accoglierla probabilmente per tutta la sua vita: erano per lei motivi di grande apprensione.

Si fece forza e coraggio, salì su quel treno in direzione Milano per poi proseguire verso il Canale della Manica e quindi arrivata sull’Isola, raggiungere la capitale, Londra. 

Anche questa volta era sola con le sue paure ed i suoi sogni, ad affrontare un lungo e mai sperimentato viaggio.

Trovò il marito ad attenderla alla grandissima stazione di Londra. Il cielo era plumbeo, pioveva e faceva molto freddo, finalmente poterono abbracciarsi e si baciarono lungamente con ardore, per la prima volta da quando si erano conosciuti. Un bacio appassionato che avrebbe dovuto suggellare quanto anelato fino a quel momento. Arrivarono a Peterborough, vennero ospitati nella casa degli amici di vecchia data di Giuseppe, Bruno e Gina, fintanto che avessero trovato una sistemazione familiare più idonea.

Stella aveva una buona tempra, caparbia e risoluta, riuscì fin da subito ad adattarsi a quella nuova situazione, a conoscere bene il carattere del suo Giuseppe in tutte le sue sfaccettature. Ovviamente aveva molta difficoltà a comprendere la lingua, quando andava in giro per la città, ma fortunatamente era attorniata da molti italiani, tra cui tantissimi provenienti dalla Campania che le facilitavano il compito. Anche Stella cominciò fin da subito a seguire, con non poca difficoltà, corsi serali di lingua inglese. 

Farrows Factory

Proprio durante uno di questi corsi, le venne proposto un lavoro da intraprendere prima che le scadesse il permesso di soggiorno, presso un’azienda che inscatolava frutta e verdura, la Farrows Factory, in Fellow's Road Fletton. Sapevano che avrebbero dovuto lavorare duro e risparmiare il più possibile, per poter lasciare presto la casa degli amici e iniziare a creare presto una loro famiglia, partendo da un loro nido d’amore. 

Finalmente un giorno Giuseppe le disse che nel weekend sarebbero andati a vedere una piccola casetta dove potevano finalmente stare insieme da soli. L’alloggio da prendere in affitto, era situato all’interno di un complesso a schiera nella Princess Road Fletton sempre nella città di Peterborough.

Sistemarono al meglio la loro prima casetta; erano felici.

Lavoravano entrambi alacremente e riuscivano a risparmiare qualche sterlina. Superarono anche il fatto di non capire entrambi i rispettivi dialetti, quando anche Stella imparò a parlare inglese. Nel 1959 nacque il loro primo figlio maschio, nel 1962 nacque una bambina. La casa cominciava a diventare stretta. 

Quando i figli avevano cinque e due anni, presero una decisione molto sofferta, che avrebbe potuto cambiare per sempre il futuro loro e della loro famiglia. I genitori di Giuseppe erano anziani ed il figlio cominciò a soffrire per quella lontananza. Decisero così, dopo non poche discussioni, di lasciare la casa, il lavoro e l’Inghilterra, per fare ritorno in Italia, a San Martino di Venezze, dove potevano abitare con la famiglia e cercare lavoro. 

Purtroppo dopo circa un anno di permanenza nel basso Veneto, non tutto andava per il meglio. Stella ed i figli soffrivano nel riuscire a comprendere quel dialetto ostico. Il lavoro precario trovato non offriva grosse garanzie per il futuro, inoltre nessuno di loro era coperto dalla sanità nazionale ed oltretutto non riuscivano a mettere da parte i contributi per una futura pensione, avendo interrotto l’accumulo di quelli versati in Inghilterra.

Decisero, dopo lunghe e difficili discussioni di ritornare a Peterborough. Riconoscendosi il grosso errore fatto ed il tempo perso. Dovettero presto trovare un’altra casa in affitto. La presero subito in Palmerston Road Woodston. 

Bull Hotel


Stella trovò abbastanza presto lavoro in qualità di cameriera, presso un albergo, il Bull Hotel, in centro città. 

Giuseppe purtroppo non poté rientrare alla London Brick, in quanto dovette essere subito operato alla schiena per gravi problemi alle vertebre, fortemente usurate a causa del precedente lavoro. 

In quel lungo periodo convalescenza, Stella assicurò alla famiglia le opportune entrate finanziarie, ma appena Giuseppe si sentì abbastanza bene fisicamente, trovò subito un nuovo lavoro, presso l’ospedale PCH Peterborough District Hospital su Thorpe Road. Era addetto alle pulizie dei pavimenti, da fare utilizzando un nuovissimo macchinario che lavava e sterilizzava a dovere i rivestimenti sintetici a terra.

PCH Peterborough District Hospital

Ripresero così la loro vita a Peterborough, momentaneamente interrotta. Lavorando entrambi e risparmiando bene, decisero di compiere un passo importante. Comprarono la loro prima casa, togliendo l’affitto dalle spese correnti. Scelsero una casa in Duke Street Old Fletton, non lontano da dove avevano sempre abitato.

Finalmente avevano una casa loro, adatta e comoda anche per due figli. La vita scorreva tranquilla, ormai per Stella erano passati circa dieci anni dalla sua immigrazione in Inghilterra. Si erano ben abituati alla vita ed alle abitudini del popolo inglese. Anche l’alimentazione fu adeguata alle abitudini locali. 

Soprattutto con la colazione. Così “breakfast is breakfast”: accanto al tè e alle altre bevande calde spuntano, il pane tostato con marmellata d’arancia e riccioli di burro, porridge (una pappetta di orzo e avena), uova strapazzate con bacon (la pancetta affumicata) e le immancabili salsicce. Il pranzo consumato in genere attorno alle tredici, era concepito come spezza-digiuno, semplice e rapido, spesso a base di panini o tramezzini (sandwiches) con prosciutto o roastbeef.

Vera e propria istituzione era il tea time, tutti i pomeriggi attorno alle diciassette, quando attorno a bollitori fumanti si imbastiva il rito del tè all’inglese, accompagnato da minuscoli pasticcini e mini focaccine. Questa cultura del tè era uno degli aspetti più iconici delle tradizioni culinarie britanniche.

Tuttavia, Stella non dimenticò mai la sua famiglia, le sue sorelle ed il fratello in Italia, che non se la passavano proprio tanto bene economicamente. Insieme a suo marito dimostravano sempre tanta generosità, ed ogni tanto confezionavano pacchi di generi alimentari e indumenti da inviare alternativamente ad ognuno di loro.

Nel 1968, quando non se lo aspettavano, come un fulmine a ciel sereno, arrivò la terza bambina ad aumentare il loro nucleo familiare.

La famiglia fu così completata.

The Gable Thorp

Nel 1971 Stella cambiò ancora lavoro. Fu assunta nel reparto maternità, in una sezione staccata dell’ospedale principale, The Gables Thorpe, in qualità di operatrice incaricata di mantenere l'igiene e la pulizia degli ambienti del reparto.

Ogni tanto, quando il lavoro e le finanze lo consentivano, non disdegnavano di fare un viaggio in Italia, per rimanere in contatto stretto con i loro familiari. Erano delle bellissime occasioni, soprattutto tra i numerosi cugini, di approfondire la conoscenza con i parenti di oltre Manica.

La vita scorreva finalmente tranquilla, la famiglia aveva modo di frequentare una vicina Chiesa di rito Cattolico. I ragazzi crescevano bene ed integrati benissimo nel tessuto sociale locale. 

Purtroppo però, tempi grigi si addensarono su questa bellissima famiglia. Questa volta non era il tipico meteo inglese a portare grosse nubi, ma il nero destino.

Giuseppe nel 1975, si ammalò gravemente, di una orrenda malattia. La sua bruttissima convalescenza durò circa due anni, passati tra letti di ospedale e la casa. Sempre attorniato da tutti gli affetti familiari. Purtroppo il Signore lo chiamò accanto a sé, strappandolo dall’amore familiare, alla giovane età di quarantotto anni, senza tener conto dei duri sacrifici che aveva messo in campo fino ad allora.

Stella ed il resto della famiglia ne uscirono distrutti.

Non si persero d’animo, i figli si strinsero attorno a lei, che aveva sempre dimostrato di essere una donna molto forte e coraggiosa. Lavorò imperterrita, allungando anche i tempi del lavoro, per non venire meno ai bisogni dei suoi figli. 

Stella arrivò a compire i sessant’anni, quando decise di ritirarsi dal lavoro chiedendo di andare in pensione. Lasciò per sempre Peterborough e questo mondo all'età di ottantaquattro anni, raggiungendo il caro marito che l’aspettava in paradiso. 

La loro vita in terra, non fu vissuta vana. 

I figli, di questa bellissima coppia, tutti sposati, misero al mondo la terza generazione di italiani immigrati in questa Terra d’Oltre Manica.

Ma il tempo scorre inesorabile per tutti, la vita continua e qualche virgulto di quarta generazione è già arrivato, continuando a crescere sotto il cielo inglese.

Aniello Ricciardi

Nel link di seguito la prima parte

Prima Parte



lunedì 3 febbraio 2025

GIUSEPPE AND STELLA, L'AMORE A TUTTI I COSTI. Parte 1

Erano passati solo sei anni dalla fine della devastante seconda guerra mondiale. Il territorio italiano ne uscì pesantemente provato, a causa del patrimonio edilizio distrutto, per la mancanza di lavoro e di conseguenza per il regolare sostentamento delle famiglie. 
Alla fine del 1951, il territorio compreso tra i fiumi Po ed Adige, in provincia di Rovigo subì una grossa alluvione. Nota come alluvione del Polesine. 
L’evento disastroso causò circa cento vittime e quasi duecentomila senzatetto, con molte conseguenze sociali ed economiche. Il contraccolpo fu che tanti giovani, sfollati e senza alloggi, si misero in cerca di un nuovo possibile lavoro, da ottenere anche in altri posti lontano dalle proprie residenze. 
Iniziò così un grande fenomeno migratorio, d’intere famiglie verso altre regioni d’Italia.
San Martino di Venezze
A San Martino di Venezze, adagiato sulla riva destra dell’Adige, situato a pochi chilometri da Rovigo, viveva con la sua famiglia il ventunenne Giuseppe. 
Anche questa famiglia, come le altre, era a corto di lavoro e con la preoccupazione di non trovare più nulla da fare nelle martoriate ed allagate terre del Polesine.
Giuseppe non ci pensò due volte, quando dei suoi amici gli proposero di intraprendere la possibilità di un viaggio in Inghilterra, in cerca di lavoro che potesse dare una svolta alla sua vita.
Negli anni cinquanta la Gran Bretagna si trovò per la prima volta di fronte alla necessità di importare manodopera di basso livello, da impiegare nei lavori che gli inglesi non erano più disponibili a fare, soprattutto nel settore minerario e in alcuni tipi di fabbriche. 
Gli inglesi avevano bisogno di ricostruire gran parte delle loro abitazioni, per la maggior parte distrutte durante la guerra, dalle incursioni aeree tedesche.
Vennero trovati accordi con il governo italiano; si trattava di contratti commerciali che non prevedevano nessuna forma di tutela per i lavoratori immigrati. 
Addirittura il governo inglese aprì degli uffici di reclutamento in Campania ed in Puglia, dove il bisogno di lavoro era maggiore.
La quasi totalità dei lavoratori italiani fu assunta dalle fabbriche di mattoni Fletton, situate tra Bedford e Peterborough, città site nella regione Est dell’Inghilterra, sulle rive del fiume Nene, a circa centotrenta kilometri da Londra.
Fornaci di mattoni
In pochissimo tempo, più di tremila italiani, per la maggior parte del sud, si trovarono a lavorare nel Regno Unito, la quasi totalità di loro fu assunto nelle fabbriche della London Brick, la più grande produttrice di mattoni di alta qualità, ricavati dal territorio ricco di argilla attorno a Peterborough.
Giuseppe, grazie ai suoi amici, riuscì in breve tempo a ricevere il permesso per lavorare, in qualità di operaio, in una delle tante fabbriche di mattoni. La LB1 Fletton.
Partì con un piccolissimo bagaglio e tanto desiderio di riuscire a dare una svolta alla sua vita. Conosceva solo due amici, che lavoravano in una fabbrica di elettrodomestici, Gina e Bruno. Giuseppe era molto timido ed introverso, di animo buono ed era un grande lavoratore. Aveva solo un problema, non parlava inglese, ma nemmeno l’italiano. Il suo idioma era il veneto, parlato molto stretto.
Non fu per nulla facile affrontare il rigido inverno inglese, ancor più duro del clima freddo ed umido del suo basso Veneto. Dovette abituarsi a dormire e vivere, insieme a centinaia di altri immigrati italiani, in una specie di ostello, ricavato da una caserma abbandonata. 
La paga era bassissima, al di sotto di qualsiasi operaio inglese. Ma il suo pensiero primario era quello di lavorare al massimo per aiutare la famiglia rimasta nel Polesine. I gravosi turni di lavoro ed il contatto continuo con la rude e pesante argilla fiaccavano il fisico e scartavetrava le mani.
La maggior parte degli italiani si ritrovò a prestare servizio nella London Brick, altri invece, preferirono lavorare nei campi, soprattutto per la produzione e trasformazione di barbabietole, altri che sapevano lavorare da artigiani, si offrirono come elettricisti, idraulici, imbianchini e muratori.
Quasi tutti i lavoratori italiani, abitavano in alloggi rifugi ed ostelli, messi a disposizione dal governo inglese. Tutti erano in possesso di regolare permesso di lavoro ed in regola con i documenti. Ben presto a Peterborough si formò una comunità di italiani molto numerosa.
Questi si incontravano la sera negli hotpoint di ritrovo sociale, dove avevano l’opportunità di studiare la lingua inglese. 
Giuseppe lavorò duro, in quegli anni, riuscì a metter da parte qualche sterlina non dimenticando di inviare una quota fissa per il sostentamento della sua famiglia in Italia. 
La London Brick raggiunse la piena produzione di mattoni, superando il record nel 1954/55, pertanto agli italiani venne riconosciuto un ruolo significativo in questo traguardo.
Nel 1956 Giuseppe fece conoscenza e seguente buona amicizia con una coppia di napoletani, che frequentavano il suo hotpoint club. I suoi amici si dispiacevano a vedere questo giovane  sempre da solo, senza una compagna, intento esclusivamente al lavoro e lo esortarono a cercare qualcuna che condividesse con lui il suo vivere in quella terra, lontano da casa. 
Lui scrollò le spalle, “cosa vuoi che mi interessa, sono qui per lavorare” disse. Ma i suoi amici, tra il serio ed il faceto, gli mostrarono una foto di una loro amica, una giovane e bella ragazza ancora nubile e libera da impegni affettivi, una loro compaesana di Palma Campania, in provincia di Napoli. 
Giuseppe buttò uno sguardo alla foto, dapprima molto disinteressato, ma poi quando realizzò bene la figura della persona nella foto chiese striminzite informazioni, ma con molto riguardo.
Quella notte Giuseppe non dormì, aveva l'immagine di quella donna fissa nella testa. Era bella, gli piaceva, ma come poteva fare per conoscerla. Aveva anche un po’ di vergogna a chiedere ad i suoi amici maggiori informazioni. Neanche avrebbe potuto subito partire per andare a conoscerla quanto prima.
Chi gli aveva mostrato la foto, si riteneva la migliore amica di Stella ed aveva una continua corrispondenza con lei. In una di queste missive le parlò di Giuseppe, descrivendone i tratti somatici ed il carattere, buono e cordiale.  Stella aveva ventisette anni era l’ultima di quattro figli vivi, una sorella era morta, a causa di un grave incidente, in giovane età,  era anche l’ultima rimasta a vivere con i genitori, contribuendo fattivamente all’economia familiare. 
Palma Campania
Palma Campania era un paesino di campagna, con scarse possibilità di lavoro, lontano dai centri industriali del napoletano. 
Stella si rallegrava tutte le volte che il postino recapitava le lettere provenienti dall’Inghilterra. Sognava, quando leggeva che tutti gli italiani trovavano lavoro facilmente, con la buona prospettiva di formare una famiglia, avere dei figli, comprare una casa e vivere felici. 
Un giorno, in una di quelle lettere trovò anche una foto. Era un bel ragazzo di ventisei anni, con un bel ciuffo di capelli che cascava leggermente sull’occhio sinistro, con lo sguardo fiero e tutto sommato piacevole. La sua cara amica glielo descrisse come se lo avesse davanti a sé. Al termine la lettera si concludeva con una esortazione a pensare la possibilità di poter combinare un incontro, allo scopo di conoscere Giuseppe. 
Questa volta toccò a Stella non dormire la notte al pensiero di cosa si potesse fare. Ascoltare la sua amica e accettare la proposta di conoscenza oppure continuare la sua vita solitaria a Palma Campania, che oramai non le piaceva più. 
Stella decise così di non tagliarsi il futuro e si ricordò di una sua amica zingara, che per vivere leggeva le carte e le mani, prevedendo il futuro. Si ricordò che in un ultimo incontro avuto con la cartomante, questa presagì che avrebbe presto attraversato il mare, con un giovane uomo. Naturalmente lei non ci aveva dato credito. Però pensandoci, per andare in Inghilterra bisognava attraversare un tratto di mare, il Canale Della Manica, che separa la Gran Bretagna dalla Francia. Cominciò ad immaginare che forse la zingara potesse avere ragione.
Quando Giuseppe ricevette la lettera con l’indirizzo di Stella e la conferma che aveva dato il suo assenso ad incontrarlo volentieri per conoscerlo, non perse tempo.
Riuscì ad avere un permesso premio dalla sua azienda e partì da Peterborough, diretto a Palma Campania.
Fu un viaggio oltremodo lunghissimo, non era mai stato nel meridione italiano. Parlava bene solo inglese e veneto e questo lo preoccupava fortemente.
Arrivò alla stazione di Napoli, ma quando andò all’ufficio informazioni per chiedere come proseguire il viaggio, non si trovò addosso tra le sue cose la lettera con l’indirizzo di Stella.
Fu costretto a passare quella prima notte in stazione, in preda alla disperazione. Non sapeva come fare. Quando ormai stanco e sfiduciato, si stava recando alla biglietteria per comprare il biglietto che lo portasse a Rovigo, dalla sua famiglia, si ricordò il nome del paese di Stella: Palma Campania.
Ritornò all’ufficio informazioni, dove gli spiegarono come arrivare in quel piccolo paesino. Salì su un autobus e vi prese posto. Quando scese a destinazione chiese in un bar se conoscessero la famiglia di Stella, la fortuna lo aiutò, un uomo conosceva la famiglia e lo accompagnò a casa.
Bussò alla porta, fu aperta proprio da Stella che lo salutò porgendogli la mano. Tra i due ci fu un rapido scambio di sguardi indagatori, tremavano entrambi, l’adrenalina era alle stelle, ma capirono subito di piacersi. Il papà di Stella era preoccupato e molto nervoso, in quanto aspettava il giovane il giorno prima, non riuscì a nascondere il suo malumore.
Giuseppe, borbottando, cercò di scusarsi, spiegando i motivi del ritardo, ma i primi colloqui furono molto difficili, Giuseppe è vero che parlava solo veneto, ma la famiglia di Stella parlava solo napoletano.
Finiti tutti gli scomodi convenevoli familiari, durante i quali Giuseppe e Stella non smisero mai di guardarsi, scambiandosi occhiate incuriosite ed indagatrici allo scopo di cercare qualcosa di più da conoscere o da carpire l’una dell’altro. In cuor loro, però, si piacquero fin da subito.
Arrivò presto la sera e Giuseppe chiese ai genitori di andare a fare una passeggiata con Stella. Naturalmente i genitori di Stella accettarono, ma solo se con loro ci fosse andato il fratello maggiore. Il fratello abitava in un paese vicino, era sposato ed aveva anche dei figli, ma mosso anche dalla curiosità di conoscere il ragazzo, accettò di fare la guardia alla coppia.
Fecero una passeggiata al centro del paese, attraendo gli sguardi incuriositi di tutti i conoscenti, il fratello rimaneva qualche metro dietro, per lasciar loro la possibilità di parlarsi allo scopo di conoscersi meglio, ma sempre attento, come da disposizioni paterne, che non si avvicinassero troppo.
Il tempo di gustare un gelato e fecero rientro a casa.
Giuseppe con molta timidezza reclamò l’attenzione di tutta la famiglia. Si avvicinò al papà e gli chiese ufficialmente di poter sposare Stella. Il papà, che se lo aspettava, non ci pensò troppo, accettando subito di donargli la sua ultima figlia. Giuseppe si rivolse a Stella, mise la mano in tasca e tirò fuori una scatoletta. Un anello con brillante accese gli occhi ed oltremodo il cuore della donna. 
Lei gli allungò la mano tremante e lasciò che lui posizionasse l’anello.
Purtroppo avendo perso un giorno, per cercare l’indirizzo, Giuseppe spiegò che il giorno dopo doveva partire per Rovigo, prima di tornare al lavoro a Peterborough, dove avrebbe cercato di organizzare e preparare  i documenti per un matrimonio da celebrare quanto prima.
Fine prima parte
Nello Ricciardi
........Continua