
La nazionale italiana doveva debuttare
alle 17,15 contro la Polonia, una squadra considerata abbastanza forte.
Il nostro capo squadra, convinse il comando del Gruppo
Incursori, ad autorizzarci per un giornata di addestramento in montagna.
Fu
così che quella mattina, dopo l’assemblea di rito, ci preparammo a
partire per andare sulle vicine Alpi Apuane per affrontare, a scopo
addestrativo, qualche bella parete rocciosa, che non mancavano da quelle parti.
Salvatore Frongia, mio compagno di corso,
che aveva una buona passione nonché una naturale predisposizione per
l’arrampicata, andò con Ivo Conti, per rifornirsi di tutto il materiale
necessario per quel tipo di attività. Ivo, oltre ad essere il nostro vice capo
squadra era anche un ottimo istruttore di arrampicata. Uomo di montagna,
proveniente dall’alta bergamasca, nonostante avesse scelto la Marina Militare in
tenera età, conservava una innata
passione per la montagna. Era un eccellente organizzatore, professionalmente
molto preparato. Ma tra tutte le sue qualità militari, io preferivo quella
umana. Sempre disponibile con tutti, mai schivo di consigli, ma soprattutto,
sempre allegro e compagnone. Insomma, con Ivo non potevi annoiarti, anche
quando il lavoro imponeva massima serietà e dedizione.
Caricammo sul CP70, l’autocarro che ci
avrebbe trasportato fino a Stazzema, tutta l’attrezzatura che ci sarebbe stata
utile, corde, moschettoni, imbragature, ascensori, discensori, chiodi e martelli.
L’attrezzatura tecnica era completata,
anche l’abbigliamento era giusto. Giusto quello di sempre, tuta mimetica
intera, buona per tutti gli usi; scarponi anfibi buoni per tutti i percorsi
(non ho mai capito perché si chiamassero anfibi, bastavano poche gocce d’acqua
per tenere in ammollo i piedi) e l’immancabile Basco Verde da indossare con
fierezza.
Uscimmo finalmente dal Varignano per
dirigere verso La Spezia. Eravamo tutti felici di affrontare quella giornata,
piuttosto inusuale, che ci avrebbe consentito di rompere la monotonia delle
solite interminabili nuotate giornaliere. Probabilmente era dai tempi del corso
incursori, che non andavo sulle pareti rocciose delle apuane.
Ivo, che era anche il conducente
dell’autocarro, si fermò in un piccolo spiazzo al bivio per il Muzzerone. Avevo
già raccolto da tutti, i soldi per comprare quello che doveva essere il nostro
pasto del mezzogiorno.
Andai insieme ad un altro collega nella
piccola salumeria, facemmo preparare due panini a testa con l’immancabile e
gustosissima mortadella profumata, qualche birra e poche bottigliette d’acqua
per gli astemi.
Il viaggio fino a Stazzema durava circa
un’ora. A parte il conducente ed il capo squadra, seduti in cabina di guida, il
resto della squadra era usualmente accomodato sugli scomodissimi panconi di
legno che attrezzavano il pianale telonato.
La rumorosità proveniente dal
potentissimo motore mista ai cigolii della struttura del telonato, rendeva
particolarmente difficile chiacchierare tra di noi, ma si trovava sempre il
modo di rendere quei trasferimenti dei momenti di pura goliardia.
Attraversammo l’abitato montano di
Stazzema e ci fermammo in un grande spiazzo. Ci caricammo addosso tutto il materiale
e ci incamminammo per il sentiero, in direzione del rifugio “Alpi della
Grotta”. La natura boschiva incontaminata
che si attraversava era bellissima, dopo una mezz’ora di salita per il
sentiero, arrivati ad un bivio, Ivo non seguì il sentiero che di solito
percorrevamo per andare al rifugio, deviò verso sinistra.
Le corde e le attrezzature che
trasportavo, mi toccavano in quanto tra i più giovane in squadra, cominciavano
a pesare il doppio di quando eravamo partiti. Attraversammo un bel bosco di faggi
e quando gli spiragli di cielo si aprivano tra le chiome degli alberi, non si
mostravano azzurri, ma di un grigio plumbeo in movimento. L’aria cominciò a
diventare fresca, nonostante il mese di giugno inoltrato, il sole dopo un po’
sparì del tutto, inghiottito dalle numerose nuvole basse in movimento.
Arrivammo dopo circa un’ora ai piedi di
una parete rocciosa, la visibilità era davvero esigua, ma Ivo decise di
continuare, anche per dare un senso a quella giornata addestrativa.
Arrivammo ai piedi del “piccolo procinto”.
Preparò il primo tiro di corda e cominciò
ad arrampicare con molta facilità e professionalità.
Dopo una ventina di metri non lo vedevamo
più, lo sentivamo però parlare ed ogni tanto martellare per sistemare qualche
chiodo. Si fermò su di un piccolo terrazzino di roccia, si assicurò ed uno alla
volta prendemmo ad arrampicare, fino a raggiungerlo. Con un secondo tiro di
corda, arrivammo su quello che sembrava di un ampio spiazzo roccioso segmentato
e fatto a gobbe, misto a poca vegetazione.
Peccato che la visibilità limitasse di
molto lo scrutare il paesaggio sottostante.
La salita, resa lenta per la poca
visibilità e per il numero di persone che dovevano arrampicare, si dilungò fino
a ben oltre l’ora di pranzo. Ivo ci invitò a cercare un posto sicuro dove
sedersi, per fare una sosta ed approfittare per mangiare.
Durante il pasto, stavamo quasi tutti in
silenzio, dovuto sia al desinare che alla stanchezza. Il profumo della
mortadella misto a quell’arietta fine e frizzante era ancora più marcato. Un
fresco venticello cominciò a muovere più velocemente i massi di nuvole che ci
attraversavano, ora più dense ora meno. Ma ad un tratto il sole fece capolino,
prima timidamente, poi trapassò completamente il grigiore imperante e si
appropriò della scena, regalandoci il cielo terso di azzurro. Le nuvole si
mossero scappando verso il basso, si aveva la sensazione di accarezzarle mentre
ci passavano addosso. Da quei movimenti meteorologici ne scaturì un paesaggio
fantastico, la nostra vista si poté allungare fino all’orizzonte del mare. La
Versilia si definiva nitida per tutta la sua lunghezza.
“Ivo ‘a nd’ò c….o ci hai portato?” Una
voce proruppe in quel disincantato silenzio.
Eravamo a circa mille metri di altezza, sparsi
su tre gobbe e speroni rocciosi e sotto
di noi il vuoto sui quattro lati.
Cominciarono alcuni rimbrotti, soprattutto
tra i più anziani della squadra, che tra il ridere e battutine nascondevano una
neppur tanto velata preoccupazione.
Raccattammo tutto il materiale e
attraversammo quelle tre gobbe rocciose, poi una breve discesa, in corda
doppia, ci portò all’attacco del “Piccolo Procinto”.
Due tiri di corda ed arrivammo sulla cima
piatta. Questa volta la salita fu più divertente, c’era tanta visibilità ed il
sole era tornato a scaldare le dita in intirizzite.
Una piccola sosta per fumare una
sigaretta e dare sfogo alle ultime battute, qualche risata e uno scenario
incommensurabile ripagava appieno le fatiche di quella giornata.
Ivo attrezzò velocemente le basi per una
lunga e velocissima discesa a corde doppia, per tornare ai piedi del Procinto.
La parte più bella ed entusiasmante della
giornata. Camminare velocemente sulla parete rocciosa a strapiombo nel vuoto,
mentre la corda doppia ti scivola sibilante sulla spalla è una sensazione sublime.
Si carpisce la velocità dell’adrenalina che corre veloce sotto pelle e ti
spruzza sensazioni magiche nella testa.
Radunata la squadra ai piedi del
Procinto, raccattate le attrezzature, si ritornò a valle correndo all’impazzata
giù per il sentiero, prima pietroso sulla falda della montagna poi di in terra
battuta quando questo si inoltrò nel bosco.
Giunti al paese di Stazzema, ci fermammo
al primo bar sulla strada. Fortunatamente aveva la televisione già sintonizzata
per la telecronaca dalla Spagna.
Il tempo di sederci ai tavoli ed ordinare
un caffè, che la partita stava per iniziare.
Le nazionali italiana e quella polacca
erano in fila schierate, partì l’inno di Mameli.
Tra lo stupore degli altri pochi
avventori del locale, che rimasero seduti, noi ci alzammo rispettosamente tutti
in piedi in silenzio e portammo la mano destra sul petto all’altezza del cuore.
Ma tra la mano ed il cuore non poteva
mancare il Basco Verde!
Stazzema (LU) 14.06.1982
Nello RICCIARDI