Translate

mercoledì 2 marzo 2016

L'ASINO

L'ASINO

Avevo frequentato tre anni di asilo dalle suore a San Vito, ero abituato a vedere le maestre  con il velo in testa.
La nostra maestra, invece, indossava un lungo camice  blu, abbottonato sul davanti.
Nonostante fosse un tipico indumento da lavoro, lo vestiva con eleganza marziale. Aveva una bella chioma di capelli con la riga al centro e la pettinatura leggermente all'indietro la facevano sembrare molto alta.
Ci invitò a  sederci,  cominciò a guardarci con aria indagatrice, attraverso i suoi occhiali grossi, sormontati da lenti spesse.
Nella stanza, non troppo illuminata, regnava il silenzio,  eravamo ventisei alunni al nostro primo anno di scuola elementare.
 Io, che ero al primo banco, abbassai lo sguardo, quando incrociai i suoi occhi, non per timidezza, forse per timore reverenziale. Credo che i suoi occhi esperti, che avevano fotografato in passato centinaia di alunni, riuscissero a carpire tutto il nostro io in  pochissimo tempo.
Sguardi impauriti, timidi, reverenziali, spavaldi, furbetti,  attoniti ,  ridenti , vivaci di tutti i bambini della classe.
Il silenzio imbarazzante venne interrotto dall’ingresso  nell’aula della bidella, che scusandosi per il disturbo, accompagnava, tenendo per un orecchio un bambino che io conoscevo perché aveva abitato nel mio cortile a San Vito.
“Signora Maestra, Gennaro  voleva andare nella seconda con i suoi ex compagni, invece è stato bocciato e deve stare qui con voi”, disse la bidella.
Gennaro nonostante camminasse sulle punte per pareggiare la possente tirata verso l’alto, rideva come se fosse contento, sicuro e divertito nell'attirare l’attenzione di tutti.
Aveva un grembiule diventato troppo piccolo per lui, con un fiocco ad allacciare il colletto enorme, scarpe a mezzo stivaletto sdrucite e troppo grosse, i calzini quasi non si vedevano.
Sprizzava simpatia da tutti i pori.
Mentre prendeva posto nell’ultimo banco, continuava a bofonchiare frasi spiritose quasi incomprensibili, rigorosamente in vernacolo stretto e continuava a ridere beffardo ed a mostrare le gengive arrossate rimaste orfane dai denti di latte.
La maestra lo esortò a fare silenzio ed a sedersi più avanti. Chiese al mio temporaneo compagno di banco di scambiare il posto con lui, mi ritrovai così seduto vicino al più allegro della classe.
Sentivo i polmoni che pulsavano, volevo esplodere in una grassa risata che sarebbe risultata devastante, ma avevo troppo timore a farlo, inutile dire che lui faceva di tutto perché questo avvenisse.
La maestra tirò fuori da un vecchio armadio di legno un cappello di cartone fatto a cono, tutto colorato, sormontato da due protuberanze laterali, sempre di cartone, a forma di orecchie d’asino. Attorno alla base c’era una scritta che nessuno di noi sapeva ancora leggere. La maestra indicandola lesse molto lentamente:
A  S  I  N  O.
Una risata simultanea esplose in aula. La stessa maestra rideva, ma con moderazione signorile.
Invitò Gennaro ad indossare quell’insolito copricapo, ricordando a tutti che  che avremmo potuto fare la stessa fine se non si veniva promossi.
Gennaro indossò il cappellino da ciuchino con inaspettato orgoglio e tutto impettito si girava guardando tutti noi, con il suo sorriso a bocca larga, si gingillava tutto. Era felice di essere guardato!
“In piedi”, ordinò la maestra, facendo ritornare l'immediato silenzio in classe.
Tutte le nostre giornate iniziavano con il segno della croce e la preghiera.
Nello Ricciardi

Marigliano (NA) ottobre 1966


Nessun commento: