
In quell’ambiente, dove
il puzzo di sudore era predominante, volevo apprendere la nobile arte del
combattimento, che in qualche modo mi aveva sempre affascinato. La premessa fu
che io volevo solo imparare e che non ero per nulla interessato al
combattimento.
Ripresi questa attività,
con motivazioni diverse, durante il corso Incursori e nel periodo che rimasi al
Varignano. In questo caso frequentai una palestra a La Spezia, allo scopo di
migliorare la tecnica già acquisita e trovare un momento di sfogo.
Per la verità non ero un
grande frequentatore, ma quell’ora che riuscivo a trascorrere in palestra, mi
disintossicava da tutto lo stress che accumulavo durante le giornate di lavoro.
Il sacco ed il pungig
ball erano diventati gli strumenti dove scaricare lo stress.
Nascosi a quasi tutti i
miei colleghi del Varignano, questa mia frequentazione sportiva. Non avrebbero
capito. La maggior parte di loro erano attratti dalle arti marziali quali judo,
ju-jitsu o karate, anche per dare una continuità all’attività di difesa
personale a cui ci sottoponevamo per il nostro lavoro. M sentivo un po’ come il
brutto anatroccolo.
Quando smisi di fare
l’Incursore, dopo il corso di educazione fisica militare, fui impiegato presso
il Centro Sportivo della Prima Divisione Navale a La Spezia.
Le strutture erano
abbastanza misere ed obsolete, un campetto di calcio, due campi da tennis con
fondo in asfalto ed un campo di pallacanestro e di pallavolo, anch’essi in
asfalto, completavano gli impianti. Il personale che utilizzava queste
strutture apparteneva alla Squadra Navale e quindi molto impegnato con le
continue navigazioni, per cui gli sport di squadra non erano proprio i più
indicati in quei luoghi. In quel periodo lavoravo con il maresciallo L.C., il mio diretto
superiore, anche lui Incursore.
Avevamo frequentato
insieme, seppure lui più anziano di me, la scuola dello sport a Roma.
Eravamo entrambi
motivati per quel lavoro ed avevamo intrapreso
un ottimo percorso di collaborazione lavorativa. Ad entrambi piacevano le
disciplina dell’atletica leggera, ed eravamo riusciti a coinvolgere nel nostro
progetto formativo, un buon numero di militari imbarcati. Avevamo affiliato il
nostro centro sportivo alla Fidal ed iniziammo a portare i nostri atleti a
gareggiare, fino in campo nazionale.
Tra questi spiccava un
sergente radarista della provincia di Cuneo.
Alberto era dotato di un
fisico imponente, alto di corporatura e muscoli ben scolpiti. Aveva anche una
buona agilità ed una forza notevole. Viveva praticamente in palestra.
Cosa potevo fargli fare
se non il getto del peso? In pochissimo tempo apprese la tecnica e riuscì con
la sua forza esplosiva a gettarlo sempre più lontano, fino a vincere il titolo
italiano amatori. A lui si unì un altro frequentatore della nostra palestrina,
un secondo capo silurista, originario di Taranto, Michele. La sua
muscolatura era ben distante e diversa da quella di Alberto, ma Michele aveva
dalla sua la voglia di lavorare duro e di mettersi in gioco. Era di una
simpatia unica, talvolta brontolone e polemico, ma sul finale sempre
sorridente. Cominciarono ad allenarsi insieme ed anche lui iniziò ad avere buoni risultati nel getto del peso, quando non si
fermava a bere litri di bibite energetiche distribuite gratuitamente nei pressi
delle piste di atletica.
Un giorno, arrivò in
palestra, un sergente dal fisico molto grosso, seppur non molto alto. Gambe robuste
a forma di tronco, braccia tozze e corte e camminata alla cowboy. Con l’accento
tipicamente romano ci disse che era un ex pugile professionista e che voleva
provare anche lui a fare il getto del peso.
Quando sentii pugile,
non potei ripensare al mio periodo passato a tirar pugni ad un sacco e mi venne
subito un’idea. Gli dissi che gli avrei fatto lanciare il peso solo se tornava
con me ad allenarsi per fare un po’ di pugilato.
Gli diedi un
appuntamento nella nostra palestrina in Arsenale, contestualmente feci in modo
che quel pomeriggio ci fossero anche Alberto e Michele.
Mi procurai due paia di
guantoni e mi misi a schermire con lui. Quando arrivarono gli altri due buttai
l‘amo. Abboccarono subito entrambi. Mi ritrovai così con tre pugili da
presentare al campionato della Marina Militare, che si sarebbe disputato di lì
a poco.
Ci trovavamo sempre
nella palestra nel tardo pomeriggio, cercai di passar loro le basi ed rudimenti
della nobile arte. Antonio che si riteneva un professionista, faceva l'esperto con gli altri due, si atteggiava nel portare i colpi, si sentiva invincibile.
Arrivò il giorno dei
campionati, quell’anno si tennero a Montecatini Terme.
Nei primi giorni si
svolsero le gare di atletica, Alberto vinse l’oro nel getto del peso, terzo
Michele e quarto Antonio.
Finalmente arrivò il giorno da me tanto atteso. Eravamo
nello spogliatoio della palestra dove era stato montato il ring. Gli spalti del
piccolo palazzetto erano gremiti e si sentivano chiaramente le urla e gli
incitamenti degli spettatori ai vari pugili che salivano sul ring. Iniziarono
dalle categorie più leggere. Noi avevamo Michele nei pesi medio-massimi,
Alberto nei massimi ed Antonio nei super massimi. Le ultime tre categorie ad
esibirsi sul ring
Qualche giorno prima,
purtroppo, mi si era presentato il grosso problema di una infiammazione alla
schiena e non riuscivo a stare in piedi, chiesi così all’amico palombaro, Armando,
venuto a Montecatini per prendere parte alla gara di marcia, dove vinse l’argento,
di darmi una mano all’angolo per assistere ai miei pugili.
Entrai nel parterre con
Michele, era molto teso e mi accorsi che balbettava un tantino. Era
comprensibile, si trovava ad un passo dal
suo debutto. Il suo sfidante era molto più alto di lui ed aveva lunghe leve.
Gli consigliai di stargli attaccato per non far mulinare troppo quelle braccia.
Ero preoccupato anch’io.
Al suono della
campanella Michele chiuse la sua testa tra i guantoni ed attaccò a testa bassa
l’avversario, costringendolo alle corde. In quella posizione riusciva a tenere
a bada le braccia dell’avversario ed a piazzare qualche colpo ai fianchi.
Chiaramente fu subito redarguito dall’arbitro. Ripresero il centro del ring.
L’avversario, che era dotato di una
buona scherma, cominciò a saltellare attorno a Michele, che non si faceva
intimidire e continuò imperterrito nella sua tattica; aspetta, carica trasporto
alle corde e colpi ai fianchi. Fu per questo che il commentatore del match gli
affibbiò il nome di “Carrarmato Bozza”. Finì l’incontro e Michele vinse ai
punti.
Venne il momento di
Alberto. Quando entrammo nel parterre, ci fu un silenzio assoluto, seguirono
momenti di meraviglia. Gli spettatori erano attratti dall’imponenza fisica di
Alberto, che sfoggiava muscoli da miglior culturista.
Antonio non desinò fino
all’ultimo di dare consigli ad Alberto, lo incitava ad essere cattivo, a non
aver paura e di attaccare sempre.
Alberto guadagnò subito
il centro del ring, l’avversario gli girava attorno con buona abilità di gambe,
nel frattempo Alberto riuscì a portare due montanti destri che fecero per un
attimo sbandare l’avversario.
A circa un minuto e
mezzo Alberto affondò i colpi in rapida successione, un diritto destro colpì
violentemente il contendente che si inginocchiò a terra, proprio in quel
momento, un asciugamano partito dall’angolo avversario atterrò sul ring ed il
giudice interruppe l’incontro per “getto della spugna”.
Il pubblico era
letteralmente in delirio!
Arrivò il momento tanto
atteso, doveva entrare in gioco il nostro asso nella manica, quello che ci
avrebbe assicurato l’en plein, il momento del professionista Antonio, che continuava a
guardare in cagnesco il suo avversario, sicuramente molto meno muscoloso, con
tanta ciccia e molto più alto di lui. Continuava a ripetere che lo avrebbe
atterrato ben prima di quanto avesse fatto Alberto in precedenza.
Al suono iniziale del
gong, Antonio scattò in piedi e conquistò il centro del quadrato , assunse subito
una buona guardia e cominciò a pungolare l’avversario con piccoli ma fastidiosi
colpetti ai fianchi, sotto i gomiti. Il suo sfidante non sembrava tanto bravo e Antonio se ne accorse. Continuò a pungerlo in quel modo, talvolta lo sfidava, si
fermava, apriva la guardia e lo invitava a colpire.
Fu proprio in uno di
questi inviti che partì dal braccio destro dell’avversario un pesantissimo,
quanto mai preciso e pesante dritto, che si stampigliò in pieno viso di Antonio.
Le braccia gli caddero
giù contemporaneamente, il capo li si piegò all’indietro e mantenendo una
perfetta posizione rigida, con i piedi piantati a terra, finì irrimediabilmente
steso al tappeto. Rimase fermo in quella posizione, sembrava svenuto, forse lo
era. Intervenne immediatamente il personale medico e fu subito trasportato in ospedale.
Lo dimisero dopo i
controlli di rito.
“Ahó, non ho capito
gnente de quello che è successo.” Ci disse Antonio in dialetto romano.
“Non ti preoccupare, sei
arrivato quarto nel getto del peso”. Gli risposi.
Montecatini Terme 1998
Nello Ricciardi
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