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sabato 5 marzo 2016

I PUGILI


Durante il periodo trascorso alle scuole  sottufficiali a Taranto, frequentai una palestrina semi sconosciuta di pugilato.
In quell’ambiente, dove il puzzo di sudore era predominante, volevo apprendere la nobile arte del combattimento, che in qualche modo mi aveva sempre affascinato. La premessa fu che io volevo solo imparare e che non ero per nulla interessato al combattimento.
Ripresi questa attività, con motivazioni diverse, durante il corso Incursori e nel periodo che rimasi al Varignano. In questo caso frequentai una palestra a La Spezia, allo scopo di migliorare la tecnica già acquisita e trovare un momento di sfogo.
Per la verità non ero un grande frequentatore, ma quell’ora che riuscivo a trascorrere in palestra, mi disintossicava da tutto lo stress che accumulavo durante le giornate di lavoro.
Il sacco ed il pungig ball erano diventati gli strumenti dove scaricare lo stress.
Nascosi a quasi tutti i miei colleghi del Varignano, questa mia frequentazione sportiva. Non avrebbero capito. La maggior parte di loro erano attratti dalle arti marziali quali judo, ju-jitsu o karate, anche per dare una continuità all’attività di difesa personale a cui ci sottoponevamo per il nostro lavoro. M sentivo un po’ come il brutto anatroccolo.
Quando smisi di fare l’Incursore, dopo il corso di educazione fisica militare, fui impiegato presso il Centro Sportivo della Prima Divisione Navale a La Spezia.
Le strutture erano abbastanza misere ed obsolete, un campetto di calcio, due campi da tennis con fondo in asfalto ed un campo di pallacanestro e di pallavolo, anch’essi in asfalto, completavano gli impianti. Il personale che utilizzava queste strutture apparteneva alla Squadra Navale e quindi molto impegnato con le continue navigazioni, per cui gli sport di squadra non erano proprio i più indicati in quei luoghi. In quel periodo lavoravo con il maresciallo L.C., il mio diretto superiore, anche lui Incursore.
Avevamo frequentato insieme, seppure lui più anziano di me, la scuola dello sport a Roma.
Eravamo entrambi motivati per quel lavoro ed avevamo  intrapreso un ottimo percorso di collaborazione lavorativa. Ad entrambi piacevano le disciplina dell’atletica leggera, ed eravamo riusciti a coinvolgere nel nostro progetto formativo, un buon numero di militari imbarcati. Avevamo affiliato il nostro centro sportivo alla Fidal ed iniziammo a portare i nostri atleti a gareggiare, fino in campo nazionale.
Tra questi spiccava un sergente radarista della provincia di Cuneo.
Alberto era dotato di un fisico imponente, alto di corporatura e muscoli ben scolpiti. Aveva anche una buona agilità ed una forza notevole. Viveva praticamente in palestra.
Cosa potevo fargli fare se non il getto del peso? In pochissimo tempo apprese la tecnica e riuscì con la sua forza esplosiva a gettarlo sempre più lontano, fino a vincere il titolo italiano amatori. A lui si unì un altro frequentatore della nostra palestrina, un secondo capo silurista, originario di Taranto, Michele. La sua muscolatura era ben distante e diversa da quella di Alberto, ma Michele aveva dalla sua la voglia di lavorare duro e di mettersi in gioco. Era di una simpatia unica, talvolta brontolone e polemico, ma sul finale sempre sorridente. Cominciarono ad allenarsi insieme ed anche lui  iniziò ad avere buoni  risultati nel getto del peso, quando non si fermava a bere litri di bibite energetiche distribuite gratuitamente nei pressi delle piste di atletica.
Un giorno, arrivò in palestra, un sergente dal fisico molto grosso, seppur non molto alto. Gambe robuste a forma di tronco, braccia tozze e corte e camminata alla cowboy. Con l’accento tipicamente romano ci disse che era un ex pugile professionista e che voleva provare anche lui a fare il getto del peso.
Quando sentii pugile, non potei ripensare al mio periodo passato a tirar pugni ad un sacco e mi venne subito un’idea. Gli dissi che gli avrei fatto lanciare il peso solo se tornava con me ad allenarsi per fare un po’ di pugilato.
Gli diedi un appuntamento nella nostra palestrina in Arsenale, contestualmente feci in modo che quel pomeriggio ci fossero anche Alberto e Michele.
Mi procurai due paia di guantoni e mi misi a schermire con lui. Quando arrivarono gli altri due buttai l‘amo. Abboccarono subito entrambi. Mi ritrovai così con tre pugili da presentare al campionato della Marina Militare, che si sarebbe disputato di lì a poco.
Ci trovavamo sempre nella palestra nel tardo pomeriggio, cercai di passar loro le basi ed rudimenti della nobile arte. Antonio  che si riteneva un professionista, faceva l'esperto con gli altri due, si atteggiava nel portare i colpi, si sentiva invincibile.
Arrivò il giorno dei campionati, quell’anno si tennero a Montecatini Terme.
Nei primi giorni si svolsero le gare di atletica, Alberto vinse l’oro nel getto del peso, terzo Michele e quarto Antonio.
Finalmente  arrivò il giorno da me tanto atteso. Eravamo nello spogliatoio della palestra dove era stato montato il ring. Gli spalti del piccolo palazzetto erano gremiti e si sentivano chiaramente le urla e gli incitamenti degli spettatori ai vari pugili che salivano sul ring. Iniziarono dalle categorie più leggere. Noi avevamo Michele nei pesi medio-massimi, Alberto nei massimi ed Antonio nei super massimi. Le ultime tre categorie ad esibirsi sul ring
Qualche giorno prima, purtroppo, mi si era presentato il grosso problema di una infiammazione alla schiena e non riuscivo a stare in piedi, chiesi così all’amico palombaro, Armando, venuto a Montecatini per prendere parte alla gara di marcia, dove vinse l’argento, di darmi una mano all’angolo per assistere ai miei pugili.
Entrai nel parterre con Michele, era molto teso e mi accorsi che balbettava un tantino. Era comprensibile,  si trovava ad un passo dal suo debutto. Il suo sfidante era molto più alto di lui ed aveva lunghe leve. Gli consigliai di stargli attaccato per non far mulinare troppo quelle braccia. Ero preoccupato anch’io.
Al suono della campanella Michele chiuse la sua testa tra i guantoni ed attaccò a testa bassa l’avversario, costringendolo alle corde. In quella posizione riusciva a tenere a bada le braccia dell’avversario ed a piazzare qualche colpo ai fianchi. Chiaramente fu subito redarguito dall’arbitro. Ripresero il centro del ring. L’avversario,  che era dotato di una buona scherma, cominciò a saltellare attorno a Michele, che non si faceva intimidire e continuò imperterrito nella sua tattica; aspetta, carica trasporto alle corde e colpi ai fianchi. Fu per questo che il commentatore del match gli affibbiò il nome di “Carrarmato Bozza”. Finì l’incontro e Michele vinse ai punti.
Venne il momento di Alberto. Quando entrammo nel parterre, ci fu un silenzio assoluto, seguirono momenti di meraviglia. Gli spettatori erano attratti dall’imponenza fisica di Alberto, che sfoggiava muscoli da miglior culturista.
Antonio non desinò fino all’ultimo di dare consigli ad Alberto, lo incitava ad essere cattivo, a non aver paura e di attaccare sempre.
Alberto guadagnò subito il centro del ring, l’avversario gli girava attorno con buona abilità di gambe, nel frattempo Alberto riuscì a portare due montanti destri che fecero per un attimo sbandare l’avversario.
A circa un minuto e mezzo Alberto affondò i colpi in rapida successione, un diritto destro colpì violentemente il contendente che si inginocchiò a terra, proprio in quel momento, un asciugamano partito dall’angolo avversario atterrò sul ring ed il giudice interruppe l’incontro per “getto della spugna”.
Il pubblico era letteralmente in delirio!
Arrivò il momento tanto atteso, doveva entrare in gioco il nostro asso nella manica, quello che ci avrebbe assicurato l’en plein, il momento  del professionista Antonio,  che continuava a guardare in cagnesco il suo avversario, sicuramente molto meno muscoloso, con tanta ciccia e molto più alto di lui. Continuava a ripetere che lo avrebbe atterrato ben prima di quanto avesse fatto Alberto in precedenza.
Al suono iniziale del gong, Antonio scattò in piedi e conquistò il centro del quadrato , assunse subito una buona guardia e cominciò a pungolare l’avversario con piccoli ma fastidiosi colpetti ai fianchi, sotto i gomiti. Il suo sfidante non sembrava tanto bravo e Antonio se ne accorse. Continuò a pungerlo in quel modo, talvolta lo sfidava, si fermava, apriva la guardia e lo invitava a colpire.
Fu proprio in uno di questi inviti che partì dal braccio destro dell’avversario un pesantissimo, quanto mai preciso e pesante dritto, che si stampigliò in pieno viso di Antonio.
Le braccia gli caddero giù contemporaneamente, il capo li si piegò all’indietro e mantenendo una perfetta posizione rigida, con i piedi piantati a terra, finì irrimediabilmente steso al tappeto. Rimase fermo in quella posizione, sembrava svenuto, forse lo era. Intervenne immediatamente il personale medico e fu subito trasportato in ospedale.
Lo dimisero dopo i controlli di rito.
“Ahó, non ho capito gnente de quello che è successo.” Ci disse Antonio in dialetto romano.
“Non ti preoccupare, sei arrivato quarto nel getto del peso”. Gli risposi.
Montecatini Terme 1998
Nello Ricciardi







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