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martedì 15 marzo 2016

ALPI APUANE 1982


Quel lunedì del  quattordici giugno 1982, si sarebbe giocata una delle partite della fase a girone dei mondiali di calcio in Spagna.
La nazionale italiana doveva debuttare alle 17,15 contro la Polonia, una squadra considerata abbastanza forte.
Il nostro  capo squadra, convinse il comando del Gruppo Incursori, ad autorizzarci per un giornata di addestramento in montagna.
Fu  così che quella mattina, dopo l’assemblea di rito, ci preparammo a partire per andare sulle vicine Alpi Apuane per affrontare, a scopo addestrativo, qualche bella parete rocciosa, che non mancavano da quelle parti.
Salvatore Frongia, mio compagno di corso, che aveva una buona passione nonché una naturale predisposizione per l’arrampicata, andò con Ivo Conti, per rifornirsi di tutto il materiale necessario per quel tipo di attività. Ivo, oltre ad essere il nostro vice capo squadra era anche un ottimo istruttore di arrampicata. Uomo di montagna, proveniente dall’alta bergamasca, nonostante avesse scelto la Marina Militare in tenera età, conservava una  innata passione per la montagna. Era un eccellente organizzatore, professionalmente molto preparato. Ma tra tutte le sue qualità militari, io preferivo quella umana. Sempre disponibile con tutti, mai schivo di consigli, ma soprattutto, sempre allegro e compagnone. Insomma, con Ivo non potevi annoiarti, anche quando il lavoro imponeva massima serietà e dedizione.
Caricammo sul CP70, l’autocarro che ci avrebbe trasportato fino a Stazzema, tutta l’attrezzatura che ci sarebbe stata utile, corde, moschettoni, imbragature, ascensori, discensori,  chiodi e martelli.
L’attrezzatura tecnica era completata, anche l’abbigliamento era giusto. Giusto quello di sempre, tuta mimetica intera, buona per tutti gli usi; scarponi anfibi buoni per tutti i percorsi (non ho mai capito perché si chiamassero anfibi, bastavano poche gocce d’acqua per tenere in ammollo i piedi) e l’immancabile Basco Verde da indossare con fierezza.
Uscimmo finalmente dal Varignano per dirigere verso La Spezia. Eravamo tutti felici di affrontare quella giornata, piuttosto inusuale, che ci avrebbe consentito di rompere la monotonia delle solite interminabili nuotate giornaliere. Probabilmente era dai tempi del corso incursori, che non andavo sulle pareti rocciose delle apuane.
Ivo, che era anche il conducente dell’autocarro, si fermò in un piccolo spiazzo al bivio per il Muzzerone. Avevo già raccolto da tutti, i soldi per comprare quello che doveva essere il nostro pasto del mezzogiorno.
Andai insieme ad un altro collega nella piccola salumeria, facemmo preparare due panini a testa con l’immancabile e gustosissima mortadella profumata, qualche birra e poche bottigliette d’acqua per gli astemi.
Il viaggio fino a Stazzema durava circa un’ora. A parte il conducente ed il capo squadra, seduti in cabina di guida, il resto della squadra era usualmente accomodato sugli scomodissimi panconi di legno che attrezzavano il pianale telonato.
La rumorosità proveniente dal potentissimo motore mista ai cigolii della struttura del telonato, rendeva particolarmente difficile chiacchierare tra di noi, ma si trovava sempre il modo di rendere quei trasferimenti dei momenti di pura goliardia.
Attraversammo l’abitato montano di Stazzema e ci fermammo in un grande spiazzo. Ci caricammo addosso tutto il materiale e ci incamminammo per il sentiero, in direzione del rifugio “Alpi della Grotta”. La natura boschiva  incontaminata che si attraversava era bellissima, dopo una mezz’ora di salita per il sentiero, arrivati ad un bivio, Ivo non seguì il sentiero che di solito percorrevamo per andare al rifugio, deviò verso sinistra.
Le corde e le attrezzature che trasportavo, mi toccavano in quanto tra i più giovane in squadra, cominciavano a pesare il doppio di quando eravamo partiti. Attraversammo un bel bosco di faggi e quando gli spiragli di cielo si aprivano tra le chiome degli alberi, non si mostravano azzurri, ma di un grigio plumbeo in movimento. L’aria cominciò a diventare fresca, nonostante il mese di giugno inoltrato, il sole dopo un po’ sparì del tutto, inghiottito dalle numerose nuvole basse in movimento.
Arrivammo dopo circa un’ora ai piedi di una parete rocciosa, la visibilità era davvero esigua, ma Ivo decise di continuare, anche per dare un senso a quella giornata addestrativa.
Arrivammo ai piedi del “piccolo  procinto”.
Preparò il primo tiro di corda e cominciò ad arrampicare con molta facilità e professionalità.
Dopo una ventina di metri non lo vedevamo più, lo sentivamo però parlare ed ogni tanto martellare per sistemare qualche chiodo. Si fermò su di un piccolo terrazzino di roccia, si assicurò ed uno alla volta prendemmo ad arrampicare, fino a raggiungerlo. Con un secondo tiro di corda, arrivammo su quello che sembrava di un ampio spiazzo roccioso segmentato e fatto a gobbe, misto a poca vegetazione.
Peccato che la visibilità limitasse di molto lo scrutare il paesaggio sottostante.
La salita, resa lenta per la poca visibilità e per il numero di persone che dovevano arrampicare, si dilungò fino a ben oltre l’ora di pranzo. Ivo ci invitò a cercare un posto sicuro dove sedersi, per fare una sosta ed approfittare per mangiare.
Durante il pasto, stavamo quasi tutti in silenzio, dovuto sia al desinare che alla stanchezza. Il profumo della mortadella misto a quell’arietta fine e frizzante era ancora più marcato. Un fresco venticello cominciò a muovere più velocemente i massi di nuvole che ci attraversavano, ora più dense ora meno. Ma ad un tratto il sole fece capolino, prima timidamente, poi trapassò completamente il grigiore imperante e si appropriò della scena, regalandoci il cielo terso di azzurro. Le nuvole si mossero scappando verso il basso, si aveva la sensazione di accarezzarle mentre ci passavano addosso. Da quei movimenti meteorologici ne scaturì un paesaggio fantastico, la nostra vista si poté allungare fino all’orizzonte del mare. La Versilia si definiva nitida per tutta la sua lunghezza.
“Ivo ‘a nd’ò c….o ci hai portato?” Una voce proruppe in quel disincantato silenzio.
Eravamo a circa mille metri di altezza, sparsi su tre gobbe e speroni rocciosi e sotto di noi il vuoto sui quattro lati.
Cominciarono alcuni rimbrotti, soprattutto tra i più anziani della squadra, che tra il ridere e battutine nascondevano una neppur tanto velata preoccupazione.
Raccattammo tutto il materiale e attraversammo quelle tre gobbe rocciose, poi una breve discesa, in corda doppia, ci portò all’attacco del “Piccolo Procinto”.
Due tiri di corda ed arrivammo sulla cima piatta. Questa volta la salita fu più divertente, c’era tanta visibilità ed il sole era tornato a scaldare le dita in intirizzite.
Una piccola sosta per fumare una sigaretta e dare sfogo alle ultime battute, qualche risata e uno scenario incommensurabile ripagava appieno le fatiche di quella giornata.
Ivo attrezzò velocemente le basi per una lunga e velocissima discesa a corde doppia, per tornare ai piedi del Procinto.
La parte più bella ed entusiasmante della giornata. Camminare velocemente sulla parete rocciosa a strapiombo nel vuoto, mentre la corda doppia ti scivola sibilante sulla spalla è una sensazione sublime. Si carpisce la velocità dell’adrenalina che corre veloce sotto pelle e ti spruzza sensazioni magiche nella testa.
Radunata la squadra ai piedi del Procinto, raccattate le attrezzature, si ritornò a valle correndo all’impazzata giù per il sentiero, prima pietroso sulla falda della montagna poi di in terra battuta quando questo si inoltrò nel bosco.
Giunti al paese di Stazzema, ci fermammo al primo bar sulla strada. Fortunatamente aveva la televisione già sintonizzata per la telecronaca dalla Spagna.
Il tempo di sederci ai tavoli ed ordinare un caffè, che la partita stava per iniziare.
Le nazionali italiana e quella polacca erano in fila schierate, partì l’inno di Mameli.
Tra lo stupore degli altri pochi avventori del locale, che rimasero seduti, noi ci alzammo rispettosamente tutti in piedi in silenzio e portammo la mano destra sul petto all’altezza del cuore.
Ma tra la mano ed il cuore non poteva mancare il Basco Verde!

Stazzema (LU) 14.06.1982
Nello RICCIARDI


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