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domenica 6 marzo 2016

SEGNALATORI



 Quella sera del tre settembre 1978, eravamo un gruppo di una ventina di persone, pronte a varcare la soglia delle scuole C.E.M.M. Lorenzo Bezzi di Taranto. Tutti ragazzi giovanissimi, con una media d’età attorno ai diciotto anni. Ognuno con i suoi pensieri, i propri sogni, chi animati da spirito di avventura, ma sicuramente, i più, alla ricerca di una occupazione, un futuro ancora troppo lontano per tutti e completamente da progettare, vivere e costruire.
Una grossa sbarra tinta a strisce rosso e bianche ostacolava l’ingresso alle auto, mentre un piccolo cancelletto laterale consentiva l’ingresso ad una persona per volta. Ci si trovava davanti ad un’ampia vetrata, il corpo di guardia, vigilato da alcuni marinai in divisa bianca. Un sottufficiale ci radunò in un piccolo spazio dopo il corpo di guardia, chiese i documenti e le cartoline d’invito a presentarsi alle scuole.
Ci restituì i documenti e tenne per se le cartoline.
I nostri occhi indagatori, si spingevano oltre i nostri pensieri e cercavano di arrivare ben oltre le siepi di pitosforo che delimitavano le ampie strade all’interno della struttura militare.
La curiosità ci spingeva oltre qualsiasi fantasticheria. Chissà se dopo quei palazzi che si scrutavano in lontananza c’erano le navi, dove saranno stati tutti gli altri marinai, i soldati, dove saranno nascoste tutte le armi. Preso da tutti quei pensieri, quasi mi sfuggì che tutto il gruppo prese a muoversi verso l’interno della caserma.
Non camminammo tanto, ci fermammo subito alla prima grande palazzina incontrata. Davanti c’era un grande spiazzo e lì ci dissero di schierarci in fila per tre, dopo aver lasciato i nostri bagagli vicino all’ingresso.
Riuscimmo a schierarci come richiesto con molta goffaggine e confusione. Un graduato con una voce forte e potente fece l’appello, dopodiché ci prescrisse alcune raccomandazioni ed indicazioni. L’argomento su cui dibatté molto fu il divieto assoluto di gironzolare da soli. Vietatissimo! Qualsiasi spostamento al di fuori degli alloggi o uffici andava fatto sempre inquadrati ed in fila per tre, sempre diretti da un graduato. A suo dire, la prima ed unica punizione per qualsiasi inadempienza, non essendo ancora militari,  erano i calci nel sedere.
Entrammo finalmente nella palazzina, ci portò in un camerone grandissimo, con tanti letti a castello, fino a tre piani, intervallati da tre piccolissimi armadietti di metallo grigio.
Su di ogni materasso c’erano lenzuola bianchi, un cuscino ed una coperta di lana azzurra, con un’ancora bianca disegnata. Il capo, così si chiamano i sergenti maggiori in Marina, ci disse di metterci a letto perché al mattino dopo la sveglia sarebbe suonata presto.
Mi capitò la brandina al secondo piano, preparai subito il letto, mentre lentamente cercavo di sistemare i miei pochi averi nel misero armadietto, improvvisamente calò il buio nel camerone. Le luci si spensero.
A tentoni riuscii a chiudere l’armadietto con un lucchetto e mi sdraiai sul letto.
Non fu facile dormire, i pensieri di un diciottenne sono come un cavallo da domare, si rincorrono e si scalciano senza una sequenza logica. La paura di essere domati senza la possibilità di poter cavalcare in una prateria libera era quella che più mi preoccupava. Avevo fortemente paura di essere rispedito a casa, ma non conoscevo nessuno stratagemma da mettere in atto, se non confidare nella mia volontà di arrivare.
La mattina arrivò presto, ci ritrovammo inquadrati nel piazzaletto per andare a fare colazione. Diversamente dalla sera prima, c’erano tantissimi gruppi, formati da ragazzi inquadrati che si apprestavano a dirigere verso la mensa ubicata praticamente sul lato opposto di dove stavamo noi. Il grosso refettorio, abbastanza moderno, era situato sotto tre grossi palazzoni. Cera una fila lunghissima, formata sia da militari che da personale civile.
Quella mattina fummo sottoposti a varie visite mediche. Già nel pomeriggio ci accorgemmo che qualcuno andava via, probabilmente riscontravano problemi di idoneità. Il pomeriggio fu dedicato alle varie pandettature. Rilascio dei dati personali, compilazioni di schede dove veniva richiesto di tutto e di più. Nella stessa giornata notai che alcuni gruppi partivano con tutti i bagagli ed andavano verso le tre palazzine altissime sopra la mensa. Erano quelli arrivati nei giorni precedenti che nel frattempo avevano completato l’iter di arruolamento. Arrivò la sera senza che me ne accorsi. Rimasi di  nuovo solo con i miei pensieri, l’unico dubbio che mi ero tolto era che fisicamente ero a posto. Ora rimanevano i test psicologici da superare. Erano quelli che tutti temevano di più.
Il giorno dopo, infatti, ci ritrovammo seduti in una grossa aula, con davanti un foglio ed una penna. Ci furono dei test e problemi da superare che ci occuparono tutta la mattina ed il pomeriggio. I test ed i quiz vertevano dalla cultura generale, ai problemi di matematica, frasi da tradurre dall’inglese e viceversa, fino a problemi di logica e di meccanica applicata.
Stranissimi alcuni quesiti sulla personalità, tipo hai mai pensato di morire o di suicidarti, oppure se mi attraevano gli uomini piuttosto che i bambini, se mi piacevano i fiori o gli animali. Alcuni mi sembravano alquanto stupidi, altri inquietanti.
Il terzo giorno, ci misero seduti di nuovo nella stessa aula. Un sottufficiale, mentre venivamo chiamati una alla volta per il colloquio, cercava di intrattenerci spiegandoci i vari gradi e le diversità delle categorie, che da li a poco ci avrebbero assegnato, qualora idonei all’incorporamento finale.
Venne il mio turno dallo psicologo. Per la verità ricordo poco o niente di quel colloquio che trovai noioso e talvolta fuori luogo, fino a rimuoverlo dalla mia testa.
Ricordo solo che alla fine mi consegnò un foglio dove avrei dovuto indicare tre categorie di mio gradimento. Chiaramente ero stato già indottrinato da un mio vicino, don Franco Rongo, che era stato un ex marinaio. Seguii alla lettera le sue indicazioni e scelsi nell’ordine: Furiere Zeta (Gestore di cucine e mense), NP (Nocchiere di porto) ed E (elettricista); quest’ultima scelta da don Franco, in quanto lui stesso fu un elettricista di bordo.
Arrivò il quarto giorno, sempre seduti nella solita grande aula, ci chiamarono uno alla volta e ci consegnarono un foglio, che ci chiesero di firmare e restiutuire, dopo aver letto tutto attentamente. Ricciardi Aniello 78VA0187/T categoria assegnata “S”.
Il testo continuava con varie menzioni a decreti e leggi varie ed in fondo, in grassetto, che venivo arruolato con la ferma di sei anni a premio e di accettare qualsiasi destinazione.
Chiaramente firmai, senza pensarci due volte. Ero felice, ero già un marinaio, avevo anche una mia matricola, avevo per la verità anche una categoria.
Una categoria? Ma che categoria era “S”?
Ritornai di nuovo nella grande aula, dove tutti i ragazzi che avevano già il foglio in mano cercavano di raggrupparsi per categorie assegnate.
Alla fine ci ritrovammo in venti con la categoria “S”. Nessuno di noi conosceva il significato di quella sigla. Un capo ci disse: “avete una bella categoria, sarete degli specialisti della scoperta e telecomunicazioni, siete dei “Segnalatori”.
Non potei dare la notizia a casa, non si poteva telefonare, o meglio no vi erano telefoni a disposizione. Riuscii a chiamare casa dopo una decina di giorni che ero arrivato a Taranto, come telecomunicazione eravamo messi un tantino male!
Taranto, settembre 1978
Nello Ricciardi





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