
Una grossa sbarra tinta
a strisce rosso e bianche ostacolava l’ingresso alle auto, mentre un piccolo
cancelletto laterale consentiva l’ingresso ad una persona per volta. Ci si
trovava davanti ad un’ampia vetrata, il corpo di guardia, vigilato da alcuni
marinai in divisa bianca. Un sottufficiale ci radunò in un piccolo spazio dopo
il corpo di guardia, chiese i documenti e le cartoline d’invito a presentarsi
alle scuole.
Ci restituì i documenti
e tenne per se le cartoline.
I nostri occhi indagatori,
si spingevano oltre i nostri pensieri e cercavano di arrivare ben oltre le
siepi di pitosforo che delimitavano le ampie strade all’interno della struttura
militare.
La curiosità ci spingeva
oltre qualsiasi fantasticheria. Chissà se dopo quei palazzi che si scrutavano
in lontananza c’erano le navi, dove saranno stati tutti gli altri marinai, i
soldati, dove saranno nascoste tutte le armi. Preso da tutti quei pensieri,
quasi mi sfuggì che tutto il gruppo prese a muoversi verso l’interno della
caserma.
Non camminammo tanto, ci
fermammo subito alla prima grande palazzina incontrata. Davanti c’era un grande
spiazzo e lì ci dissero di schierarci in fila per tre, dopo aver lasciato i
nostri bagagli vicino all’ingresso.
Riuscimmo a schierarci come
richiesto con molta goffaggine e confusione. Un graduato con una voce forte e
potente fece l’appello, dopodiché ci prescrisse alcune raccomandazioni ed
indicazioni. L’argomento su cui dibatté molto fu il divieto assoluto di
gironzolare da soli. Vietatissimo! Qualsiasi spostamento al di fuori degli
alloggi o uffici andava fatto sempre inquadrati ed in fila per tre, sempre
diretti da un graduato. A suo dire, la prima ed unica punizione per qualsiasi
inadempienza, non essendo ancora militari,
erano i calci nel sedere.
Entrammo finalmente
nella palazzina, ci portò in un camerone grandissimo, con tanti letti a
castello, fino a tre piani, intervallati da tre piccolissimi armadietti di
metallo grigio.
Su di ogni materasso
c’erano lenzuola bianchi, un cuscino ed una coperta di lana azzurra, con
un’ancora bianca disegnata. Il capo, così si chiamano i sergenti maggiori in
Marina, ci disse di metterci a letto perché al mattino dopo la sveglia sarebbe
suonata presto.
Mi capitò la brandina al
secondo piano, preparai subito il letto, mentre lentamente cercavo di sistemare
i miei pochi averi nel misero armadietto, improvvisamente calò il buio nel
camerone. Le luci si spensero.
A tentoni riuscii a
chiudere l’armadietto con un lucchetto e mi sdraiai sul letto.
Non fu facile dormire, i
pensieri di un diciottenne sono come un cavallo da domare, si rincorrono e si
scalciano senza una sequenza logica. La paura di essere domati senza la
possibilità di poter cavalcare in una prateria libera era quella che più mi preoccupava.
Avevo fortemente paura di essere rispedito a casa, ma non conoscevo nessuno
stratagemma da mettere in atto, se non confidare nella mia volontà di arrivare.
La mattina arrivò
presto, ci ritrovammo inquadrati nel piazzaletto per andare a fare colazione.
Diversamente dalla sera prima, c’erano tantissimi gruppi, formati da ragazzi inquadrati
che si apprestavano a dirigere verso la mensa ubicata praticamente sul lato
opposto di dove stavamo noi. Il grosso refettorio, abbastanza moderno, era
situato sotto tre grossi palazzoni. Cera una fila lunghissima, formata sia da
militari che da personale civile.
Quella mattina fummo
sottoposti a varie visite mediche. Già nel pomeriggio ci accorgemmo che
qualcuno andava via, probabilmente riscontravano problemi di idoneità. Il
pomeriggio fu dedicato alle varie pandettature. Rilascio dei dati personali,
compilazioni di schede dove veniva richiesto di tutto e di più. Nella stessa
giornata notai che alcuni gruppi partivano con tutti i bagagli ed andavano
verso le tre palazzine altissime sopra la mensa. Erano quelli arrivati nei
giorni precedenti che nel frattempo avevano completato l’iter di arruolamento. Arrivò
la sera senza che me ne accorsi. Rimasi di
nuovo solo con i miei pensieri, l’unico dubbio che mi ero tolto era che
fisicamente ero a posto. Ora rimanevano i test psicologici da superare. Erano
quelli che tutti temevano di più.
Il giorno dopo, infatti,
ci ritrovammo seduti in una grossa aula, con davanti un foglio ed una penna. Ci
furono dei test e problemi da superare che ci occuparono tutta la mattina ed il
pomeriggio. I test ed i quiz vertevano dalla cultura generale, ai problemi di
matematica, frasi da tradurre dall’inglese e viceversa, fino a problemi di
logica e di meccanica applicata.
Stranissimi alcuni
quesiti sulla personalità, tipo hai mai pensato di morire o di suicidarti,
oppure se mi attraevano gli uomini piuttosto che i bambini, se mi piacevano i
fiori o gli animali. Alcuni mi sembravano alquanto stupidi, altri inquietanti.
Il terzo giorno, ci
misero seduti di nuovo nella stessa aula. Un sottufficiale, mentre venivamo
chiamati una alla volta per il colloquio, cercava di intrattenerci spiegandoci
i vari gradi e le diversità delle categorie, che da li a poco ci avrebbero
assegnato, qualora idonei all’incorporamento finale.
Venne il mio turno dallo
psicologo. Per la verità ricordo poco o niente di quel colloquio che trovai
noioso e talvolta fuori luogo, fino a rimuoverlo dalla mia testa.
Ricordo solo che alla
fine mi consegnò un foglio dove avrei dovuto indicare tre categorie di mio
gradimento. Chiaramente ero stato già indottrinato da un mio vicino, don Franco
Rongo, che era stato un ex marinaio. Seguii alla lettera le sue indicazioni e
scelsi nell’ordine: Furiere Zeta (Gestore di cucine e mense), NP (Nocchiere di
porto) ed E (elettricista); quest’ultima scelta da don Franco, in quanto lui
stesso fu un elettricista di bordo.
Arrivò il quarto giorno,
sempre seduti nella solita grande aula, ci chiamarono uno alla volta e ci
consegnarono un foglio, che ci chiesero di firmare e restiutuire, dopo aver
letto tutto attentamente. Ricciardi Aniello 78VA0187/T categoria assegnata “S”.
Il testo continuava con
varie menzioni a decreti e leggi varie ed in fondo, in grassetto, che venivo
arruolato con la ferma di sei anni a premio e di accettare qualsiasi
destinazione.
Chiaramente firmai,
senza pensarci due volte. Ero felice, ero già un marinaio, avevo anche una mia
matricola, avevo per la verità anche una categoria.
Una categoria? Ma che
categoria era “S”?
Ritornai di nuovo nella
grande aula, dove tutti i ragazzi che avevano già il foglio in mano cercavano
di raggrupparsi per categorie assegnate.
Alla fine ci ritrovammo
in venti con la categoria “S”. Nessuno di noi conosceva il significato di
quella sigla. Un capo ci disse: “avete una bella categoria, sarete degli
specialisti della scoperta e telecomunicazioni, siete dei “Segnalatori”.
Non potei dare la
notizia a casa, non si poteva telefonare, o meglio no vi erano telefoni a
disposizione. Riuscii a chiamare casa dopo una decina di giorni che ero
arrivato a Taranto, come telecomunicazione eravamo messi un tantino male!
Taranto, settembre 1978
Nello Ricciardi
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