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mercoledì 2 marzo 2016

L'ULTIMO DI CASA RICCIARDI (Umberto)

L'ultimo di casa Ricciardi

La mamma ci svegliò all’alba, era in preda a dolori fortissimi. La sua pancia, cresciuta a dismisura, sembrava stesse per scoppiare. Piangendo invocò mio padre di andare a chiamare sua sorella, la zia Iolanda.
Rimasi preoccupato, vicino alla mamma che si contorceva tra smorfie di dolore e pianti, mia sorella Anna, anche lei molto preoccupata,  andò a chiamare la nostra vicina, zia Felicella.
Zia Felicella, in realtà, non era una nostra zia, ma tutti, nel grande cortile dove abitavamo la chiamavano così.
Era una persona di una bontà assoluta, sempre pronta a correre in aiuto a chi aveva bisogno. Disponibile e saggia, lei ed il marito Saverio erano due punti fermi per la nostra piccola comunità.
Rosanna, la più piccola della nostra casa, aveva compiuto da qualche giorno il secondo compleanno, cominciò a piangere a squarciagola e si accucciò vicino alla mamma, nel suo letto.
Arrivò zia Felicella e capì subito cosa stesse succedendo, ordinò ad Anna di mettere sul fuoco delle pentole per riscaldare l'acqua.
Mia sorella Anna, aveva appena nove anni, ma aveva dentro di se il dono della donna di casa. Per la verità questo dono era il frutto di un adattamento forzato, in quanto in casa nostra, mia mamma doveva lavorare per necessità, avendo il marito invalido. Gioco forza, Anna dovette sopperire molto presto alla mancanza di una donna in casa e fu per tutti noi una vera sorella/mamma, nonostante l'età.
Chiaramente, in quella mattina di aprile, nè io nè Anna andammo  scuola, lei per assistere la mamma ed io per tenere a bada Rosanna.
Arrivarono finalmente anche mio padre con la zia Iolanda. La zia scherzando esortava la mamma di smettere di fare le smorfie e di comportarsi da donna di quarantadue anni, quanti ne aveva.
Io guardavo, sentivo, ma non capivo perchè nessuno volesse credere al dolore che sentiva in quel momento la mamma.
Poi le due donne accorse in casa, fecero uscire tutti dalla stanza. Dopo un po' di tempo zia Iolanda disse a mio padre di chiamare il dottore e la "mammana" (la levatrice).
Stranamente quest parola mi ritornò in mente, l'avevo già sentita non troppo tempo prima, però non sapevo collocarla temporalmente.
Felicella disse che avrebbe chiamato lei al telefono il dottor Esposito, però qualcuno deveva andare a a chiamare la "mammana".
Mio padre mi chiamò e disse: "Ti ricordo l'altro giorno, quando ti ho portato dalla signora Rosa Papa, la mammana"? Si gli risposi. "Bene, corri a casa sua e dille di venire subito perchè la mamma vuole avere un bambino!" Concluse.
Un bambino? Perchè un bambino? Ci sono già io! Non riuscivo a capacitarmi, perchè mia mamma volesse un altro bambino e poi perchè doveva stare così male per avere un bambino? Cominciai a piangere, però mi diressi solerte verso la casa della signora Rosetta.
Feci tutta la strada di corsa, passando da via del cimitero e tagliando per via Forno Vecchio fino a san Nicola, dove abitava lei. Avevo il cuore in gola, ma non avevo smesso di piangere, al pensiero che mia mamma volesse un altro bambino e non più me.
Suonai ripetutamente il campanello, si affacciò una bella signora, con una bella capigliatura accurata ed un rossetto sgargiante a tutte labbra. Mi riconobbe e mi disse di aspettare che mi avrebbe portato a casa lei.
Ritornai a casa con lei, l'auto sapeva di una fragranza buonissima la signora Rosetta era una vera signora.
Arrivammo nel cortile e riconobbi la fiat 850 del dottor Esposito, anche lui era già arrivato.
Quando arivai sul terrazzo di casa trovai tanta gente a chicchierare fuori e mi dissero di rimanere anche a me in terrazzo.
Intanto dalla porta della camera da letto, che dava sul terrazzo arrivavano ancora le urla di dolore di mia madre e sentivo chiaramente il dottore che le diceva di stare calma che ormai stava per succedere.
In casa, oltre al dottore c'erano solo le donne, compresa Anna, che stava in cucina a gurdia dell'acqua che scaldava sul fuoco.
Era una bella e calda giornata di primavera, si era fatto quasi mezzogiorno, trovai un posto a sedermi proprio vicino lla porta della camera e riuscivo a sentire i discorsi che ne scaturivano da dentro. Prepara un po' di asciugamani, stai ferma con le gambe aperte, respira forte, "jamm Matalè" che sta per arrivare.
Ad un tratto sentìì la mamma che iniziò a urlare più del solito, il dottore e la signora Rosa che la esortavano a spingere, spingere, la zia Iolanda che le diceva di non fare le moine.
Ad un tratto sentii le voci farsi più concitate, gli avvenimenti più veloci, quando tutto sembrava volgre per il  peggio, sentìì un gridolino acuto e strano, fino ad allora assente. Un vagito nuovo che si era interposto a tutte quelle voci. Sentivo chiaramente il pianto di un bambino che viene alla luce. Il dottore e la signora Rosetta dicevano a mia mamma che era tutto finito, Ce l'abbiamo fatta. Uscì fuori la zia Iolanda e fece entrare mio padre. E' maschio, è maschio disse a mio padre.
Dopo qualche minuto mio padre mi chiamò e mi portò dentro da mia madre, l'abbracciammo io e Rosanna, Anna era già lì vicino a lei. Mia mamma era molto provata e rossa in volto.
Hai visto Umberto??? Mi disse.
Umberto era una marmocchietto scuro e piccolo piccolo, avvolto in fasce bianche di lino e lo teneva in braccio mia zia Iolanda.
Nè di venere nè di marte non si arriva nè si parte, recita un detto popolare.
L'ultimo dei miei fratelli, Umberto Ricciardi, non dette retta alla popolarità e volle nascere di martedì. Per la verità anch'io feci la stessa scelta sette anni prima, optando per il venerdì.
Marigliano 11 aprile 1967

Nello Ricciardi


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