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mercoledì 2 marzo 2016

IL PRIMO GIORNO DI SCUOLA

IL PRIMO GIORNO DI SCUOLA

Ci sono alcuni giorni che non si amano per se stessi, ma per l'attesa che li prepara. Uno di questi è sicuramente il "primo giorno di scuola", se poi questo è il primo in assoluto della propria esistenza rimarrà indelebile nei nostri ricordi di bambini. Ottobre 1966, una volta la scuola iniziava ad ottobre. Mia mamma quel giorno, prese un giorno di ferie, per accompagnarmi al mio primo giorno di elementari. Continuavo a guardarmi allo specchio. Probabilmente non feci neppure colazione, il lindo e piegato grembiule blu, su cui spiccava il candido e grosso colletto bianco inamidato era troppo attraente ed elegante, per non continuare ad osservarlo in tutti i particolari. Era l'unico capo nuovo e bello che indossavo, sopra i soliti pantaloni ancora corti e le scarpe consumate e mezze rotte dai troppi calci inflitti ai palloni. Mia sorella Anna, bella come una dama, vestita con il suo grembiule bianco, si concedeva gli ultimi colpi di spazzola ai suoi bellissimi capelli lunghi corvini, contendendomi i pochi centimetri di specchio. Uscimmo dal portone di Via Somma 7, insieme agli altri abitanti di "Shanghai", così chiamavano quella residenza gli abitanti della zona, forse per l'alto numero di famiglie che vi abitavano dentro. La strada brulicava di bambini uniformemente vestiti. Pochi, per la verità accompagnati dai genitori. Per me fu il primo e l'ultimo giorno in cui avevo il piacere di essere accompagnato dalla mamma. Anna mi teneva per mano. Lei doveva andare in terza. Attraversammo l'incrocio di via Vasca e via Cimitero, diretti verso il centro di Marigliano. Peppe il biciclettaio (‘o nulegg), seduto all'ombra dei due grandi alberi di fronte al suo negozio, sapendo che era il mio primo giorno di scuola, si avvicinò e mi esortò ad essere bravo e studioso, dandomi una pacca sulla spalla. Suor Candida e suor Bianca, uscite per l'occasione dal portone d'ingresso del convento, dove avevo frequentato l'asilo, distribuivano caramelline. Davanti alla Chiesa di San Vito, nel grandissimo spiazzo, alcuni ragazzi più grandi, quarta e quinta, con i grembiuli legati alla vita, ne approfittavano per dare ancora qualche ultimo calcio al pallone. Ci fermammo al tabacchino di Don Tommaso. La mamma ci comprò due penne, due matite ed un quaderno a testa. Ricordo che piansi tantissimo, perché c'era un altro bambino che aveva comprato lo scudettino tricolore di plastica, con un grande 1 al centro, indicante la classe. Lo volevo anch'io! Per farmi smettere donna Rosa mi regalò una marmellatina di mele cotogne, quelle fatte a saponetta, incartate in una semplice carta trasparente. Una squisitezza unica.
All'altezza dell'incrocio con via Campo Sportivo, altri bambini si attardavano presso un negozietto di caramelle, gestito da un vecchietto alto, curvo ed esile, don Peppino Sapio. Subito dopo l'incrocio, un altro personaggio che ricorderò con affetto, Enzuccio il meccanico, con il suo sorriso a strizzare gli occhi e l'immancabile sigaretta tra le labbra, scherzava con tutti i bambini che passavano, lasciandoli tutti di buon umore. Finalmente arrivammo davanti a quella che doveva essere la mia prima aula scolastica. Una bidella, con il camice nero, ricordava urlando a tutti che presso quella struttura si dovevano fermare solo le classi prima e seconda. Le altre classi dovevano andare in un altro sito. Lasciai a malincuore mia sorella Anna, che si affrettò a proseguire con le sue vecchie amiche di seconda. La nostra scuola era formata da due locali. Si accedeva direttamente dalla strada, la prima stanza era riservata alla prima classe, attraversando la stanza, un'altra porta immetteva nella stanza riservata alla seconda. Entrambe le stanze immettevano a loro volta in un piccolo cortiletto interno. La mamma mi diede un bacio sulla testa e mi lasciò, facendomi le ultime raccomandazioni di rito. L'aula era tutta una rivoluzione, dettata da alcuni ragazzini ripetenti, che senza grembiule camminavano saltando sui banchi neri di legno. Io me ne stavo rintanato seduto in un banco, forse troppo grande per la mia esile corporatura. Il banco era a due posti con le panche che formavano un solo corpo con il piano inclinato per su cui si poteva alzare il piano per rimettere al suo interno i quaderni. Al centro presentavano due fori di circa 4 centimetri, dove qualche anno prima ci si riponeva il calamaio. Ad interrompere tutto quel vociferare, schiamazzi ed urli, fu l'igresso di una donna con un camice lungo blù, abbottonato sul davanti con una lunga fila di bottoni. Il suo portamento era autoritario, molto formale. La sua voce, ferma e decisa, comandò un "in piedi"!

Il silenzio calò veloce ed inesorabile nell'aula. La maestra, ritta di fianco alla cattedra, ci scrutava da dietro i suoi occhiali spessi. Seppur l'aspetto formale e deciso incutesse timore, negli attimi di silenzio, io che stavo proprio di fronte a lei, al primo banco, capii dai suoi occhi che era una brava Maestra, un'altra mamma. 
Buongiorno, mi chiamo Carmela Correale in Granato e da oggi sarò la vostra Maestra!
Marigliano ottobre 1966
Nello RICCIARDI


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