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mercoledì 2 marzo 2016

UNA SCARPA ED UNA CIABATTA


Eravamo rientrati al Varignano, dalla licenza ordinaria estiva.
Dopo il corso Incursori, la collaborazione lavorativa con Alessandro si era trasformata in una vera amicizia. A parte il lavoro, dove non eravamo capitati nella stessa squadra, tutto il resto lo facevamo insieme. Dormivamo nella stessa stanza con letti contigui, uscivamo sempre insieme e ci sopportavamo a vicenda. Devo dire la verità che sopportavo più io a lui che viceversa. Alessandro era di una ilarità unica, sempre allegro e pronto alla battuta. Minimizzava qualsiasi situazione. Insomma aveva il mio stesso carattere, solo che lui era più azzardato ed io più ponderato. Questo faceva si che, nonostante la spensieratezza di quegli anni, non ci trovassimo mai in situazioni altamente compromesse.
Eravamo ormai da tutti considerati dei fratelli e spesso ci spacciavamo per esserlo.
Ci capivamo con uno solo sguardo e riuscivamo ad inventare le situazioni più grottesche e disparate.
Addirittura arrivammo a non aver nessun problema nel gestire i nostri stipendi. Quando eravamo in giro per ristoranti, bar o a fare acquisti, non importava cosa, per chi o perché si comprava o si spendeva, il primo che si trovava alla cassa pagava, senza mai chiederne restituzione o divisione all’altro.
Arrivammo a condividere tutto, il benessere derivante dai soldi ed il malessere derivante dal dover rimanere in caserma tutto il periodo in cui si rimaneva entrambi senza soldi. Devo dire per la verità che quest’ultima situazione era sempre più spesso prevalente sulla prima. Infatti, appena si riscuotevano le rispettive paghe, ci davamo alla bella vita, che durava una decina di giorni. Gli altri venti, si passavano in caserma, senza soldi, mangiando in mensa e giocando a ping pong nel tempo libero dal lavoro.
Un giorno capitò che io ero di guardia ed Alessandro rimase da solo, mi comunicò che aveva comprato un’auto, a prezzo stracciato, da un nostro collega più anziano, Ciccio Brogna, che doveva essere trasferito a Brindisi.
A quei tempi la A112 azzurra metallizzata era davvero una bella vettura. Era ben tenuta, nonostante gli anni ed i tantissimi chilometri, ma c’era un piccolo problema, Alessandro non aveva la patente, né aveva nelle sue intenzioni il pensiero di iscriversi a scuola guida, almeno nel breve periodo.
Fu così che ancora una volta l’amico andò in soccorso. Lui aveva la macchina e non aveva la patente, io avevo la patente e non avevo la macchina. Entrammo praticamente in simbiosi.
I nostri orizzonti si allargarono, le serate si allungarono come anche il nostro raggio di azione.
Cominciammo a frequentare un ristorantino nei pressi di Romito Magra, vicino al vecchio ponte sul fiume Magra. I titolari erano due vecchietti simpaticissimi. Vilco era il nome del proprietario, ci prese davvero in simpatia. Era una semplice trattoria, si mangiava davvero bene, ma la particolarità era che si pagava ancora di meno. Addirittura, quando eravamo senza soldi, Vilco ci faceva credito e pagavamo quando volevamo, ma soprattutto quando potevamo. La specialità della trattoria, a cui noi ricorrevamo spesso era il rognone trifolato. Una vera bontà.
Un sabato sera di fine settembre, io ero tornato da casa, dove ero andato per sottopormi ad un’operazione all’alluce destro, un’unghia incarnita.
Alessandro mi disse che aveva voglia di andare fuori a mangiare. Andammo come di consueto in trattoria da Vilco. Avevo una scarpa ed una ciabatta tagliata sulla punta, in quanto la medicazione al ditone, non mi consentiva di calzare correttamente la scarpa. Uscimmo lo stesso. Vilco quella sera, intenerito dalla mia situazione, ci offrì la cena, non volle assolutamente i nostri soldi.
Non potendo continuare la serata in nessun locale o altri posti, proposi ad Alessandro di andare nel paesino dove abitava il nostro collega e compagno di corso Aldo. Dovevo prendere una lettera che aveva ritirato lui per me, durante la mia assenza.
Alessandro annuì e ci mettemmo alla ricerca del paesino, che avevamo già conosciuto di notte, durante un’esercitazione, percorrendo faticosamente gli ottocento scalini che partono dalla sottostante spiaggia di Punta Corvo.
Non esistevano ancora né il tom tom né telefonini idonei ad indicare le strade, quindi andammo in direzione Lerici per poi svoltare verso Montemarcello, passando da La Serra.
La sera arrivò scura e senza luna. La stradina, costantemente in salita, dopo la bellissima panoramica su Lerici ed il suo mare, si introdusse nei boschi resi ancora più bui dall’assenza della luce lunare.
Guidavo con molta cautela, non conoscendo la strada ed a causa della calzatura che non mi consentiva una buona sensibilità sull’acceleratore. Non pensavamo fosse così lontano il paese. Ad un certo punto, dopo una stretta curva a gomito, la strada cominciò a scendere con buona pendenza. Pensammo che forse avevamo sbagliato strada. Proprio nel momento di massima sfiducia, vedemmo di fronte a noi, in cima alla salita, le luci del paesino. Benvenuti a Montemarcello, un grosso cartello bianco ci rassicurò.
Entrammo nel paese tenendolo sulla sinistra ed incontrammo un gruppo di ragazze che chiacchieravano e ridevano tra di loro. Ci fermammo e chiedemmo se conoscevano Aldo. Confabularono tra di loro e poi, sempre sghignazzando, si offrirono di accompagnarci personalmente. Lasciai l’auto in un grande parcheggio adiacente al paese e ci incamminammo verso il centro. Le ragazze notarono subito il mio strano camminare e scoppiarono a ridere a crepapelle quando videro che calzavo una scarpa ed una ciabatta. Chiaramente Alessandro ci mise del suo, raccontando che io ero fatto così e che mi piaceva quel modo di calzare le scarpe e di camminare.
Arrivammo a casa di Aldo, ma non c’era. Invitammo le ragazze a fermarci insieme al bar a prendere qualcosa. Ci dissero che per loro era già tardi e che ci avrebbero volentieri aspettato il giorno dopo, la domenica successiva. 
Appuntamento al bar Arnold’s.
Montemarcello, settembre 1981


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